Più emozioni, meno erezioni

Prima di divenire fonte di reddito per legioni di psicologi, l’arte d’amare e d’essere amati, dunque di sedurre, ha fascinato e affascina modesti artieri e grandi artisti. Iconograficamente, dai tempi del mitico Eden perduto l’uomo, cascato dall’alto dei cieli alle fatiche e ai dolori del quaggiù, ha visto nella donna la doppia veste di sedotta (dal serpente) e seduttrice (di Adamo), accompagnandola al serpe tentatore. Eva e il serpente, icona sempiterna – come ben spiega Guillermo Solana sul numero di dicembre di Inside Art – sta ai prodromi della seduzione come alla fine del cortocircuito mediatico che fa dell’arte della pubblicità lo specchio deformante ma rilucente del bello contemporaneo.

E non è un caso, forse, che nel suo farsi chiesa la religione del marketing decida il belletto dei nuovi Casanova come delle vecchie Messaline, al pari della chiesa che in quanto tale si ostina a fissare i paletti tra bene e male. Così, l’arte della seduzione, nella storia come nell’arte, si riduce a un gioco di fumi e di lumi, d’inganni che non a caso la chiesa annovera nel peccato e vade retro Satana. La donna, povera peccatrice, si copra il capo o lasci cadere il velo sulle sue grazie, ora e sempre. Mentre l’uomo, lasciata la seduzione del corpo all’avversaria- compagna, s’affidi a quella della mente, al carisma, all’esercizio del potere che, come la bellezza, può essere declinato al bene come al male. Ma più spesso riveste panni grigi, indefiniti come questo tempo che non ri-conosce tagli netti, e buona pace a chi ancora chiede certezze.

E l’arte? Questa corifèa del domani spesso ridotta a Cenerentola dall’oggi, può forse ritrovare la pace dei sensi – letteralmente – tornando alle origini d’un antico vincolo. Sedurre, in latino, si traduce seducere. Spostare, portare in disparte, salvare dalla rovina del bigio esistere ma anche allontanare dalla retta via, corrompere, annientare. Ecco allora che la chiave di volta dell’arte della seduzione, come della seduzione dell’arte, è la stessa: la capacità di emozionare, farsi trascinare da un’opera o essere umano in qualche altrove divino. E forse è qui il punto: a molti, per dirla come Giacomo Dacquino, più che l’erezione manca l’emozione. Difficile ritrovarla se sesso e soldi restano l’unica misura del vivere, come dell’arte. Impossibile, senza la capacità di sognare che ci lascia bambini e ci rende più umani.

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