Uno stile inconfondibile, un occhio indiscreto e curioso che mina le certezze dei suoi soggetti, immortalati nelle situazioni più impensabili. Erotico, ammiccante e a volte fastidioso, Richard Kern (www.richardkern.com) è il voyeur della fotografia d’autore, nonché famoso filmaker di stampo trasgressivo negli anni ’80 (il suo film più fortunato fu "Fingered", con Lydia Lunch, con cui raggiunse un discreto successo) e icona della cultura underground newyorkese.
Non ci sarà difficile trovare, nella sua arte “invadente”, scene di ordinaria normalità contenenti straordinaria follia. Il filo che sostiene il sipario delle messe in scena provocatorie in cui sguazzano le sue modelle è sottile e divide dei significati che potremmo definire pressoché ossimorici. Una donna incinta che fuma, due ragazze in atteggiamenti saffici, una procace bionda con i seni di fuori che si mette il collirio o che si cura un occhio nero con una bistecca, oppure donne piene di lividi che lasciano intravedere la loro sensualità attraverso posizioni scomposte. Non è raro notare che il voyeurismo di Kern si disfa nell’esibizionismo dell’attore. Il punto chiave della sua poetica è proprio questo: alla voglia di guardare dell’autore – ma quindi, anche dello spettatore – corrisponde l’altrettanta voglia di farsi vedere del rappresentato e, dal momento in cui questo processo viene accettato, è impossibile parlare di pornografia o di oscenità. Quindi, tali scatti possono diventare arte, nonostante riflettano l’enfasi di una quotidianità sporca.
La sensualità delle modelle, a volte, è talmente palese da non essere più erotica, ed altre è talmente nascosta da stuzzicare l’immaginazione dello spettatore. Spesso vengono immortalate ragazze normali, non professioniste, che divengono icone inconsapevoli di una sessualità implicita, giocosa e ingenua. Pare che Kern prediliga la naturalezza e soprattutto la realtà delle cose, senza alcuna patina sopra. Quella nuda e cruda, in tutti i sensi. Un’arte, insomma, piena di splendide contraddizioni, che abbraccia tematiche forti a tinte sbiadite dal gusto un po’ retrò.
Ma esiste un perché di questo stile, Mr. Kern?
«Beh, diciamo che conferisce alle fotografie un valore “documentaristico” della realtà. Non è però l’unico modo in cui fotografo, infatti attualmente sto tenendo un’altra esposizione a Ginevra in cui ci sono lavori differenti. Qui, con le mie modelle, ho tentato di catturare dei momenti bizzarri e stravaganti. Le fotografie esposte a Genova sono, nella maggior parte, deliziosi ritratti di donne e lo stile voyeuristico era quello che piaceva a Guidi & Schoen per l’esposizione».
Come considera le sue modelle: oggetti sessuali o soggetti fotografici? E perché sceglie di ritrarle in pose e situazioni particolari?
«Credo che siano dei soggetti fotografici e che non debbano per forza tentare di eccitare lo spettatore. Quando vengono ritratte mentre compiono gesti quotidiani o in atteggiamenti provocatori è perché cerco di “giustificare” il fatto che siano nude, trovando dei soggetti fotografici adatti. Traggo molta ispirazione dai fotografi di celebrità presenti sul web, oppure da quello che vedo in giro ogni giorno».
Come sceglie le sue modelle?
«Di solito le ragazze mi scrivono, chiedendomi di posare. Fotografo donne che mi piacciono, che mi colpiscono in qualche modo. Non devono avere particolari requisiti. Fotografo quello che mi piace, non voglio lanciare alcun messaggio».
Ha iniziato la sua carriera come filmaker di stampo trasgressivo ed è divenuto un’icona dell’underground americano. Perché decise, allora, di approcciare l’arte in quel modo? Non era un modo di ribellarsi da una società troppo “politically-correct” e per lanciare un chiaro segnale di rivoluzione artistica?
«I film che facevo nascevano da idee assolutamente “anti politically correct”, ma con la fotografia non fu così: ancora oggi fotografo ciò che ho voglia di fotografare. Era il 1988 quando mi stufai di essere un filmaker. In quel momento avevo solamente voglia di scattare in bianco e nero. Era un lavoro facile e divertente, che credevo di poter fare fino a quando sarei diventato vecchio. Ho iniziato così a fotografare ragazze che conoscevo e intorno al 1995 mi proposero di raccogliere tutti questi scatti e di farne un libro, che sarebbe poi diventato “New York Girls”. Così un bel giorno mi svegliai e realizzai di essere diventato un fotografo di nudo».
Lei è considerato un fotografo “porn-chic”. La pornografia può essere considerata arte, a volte?
«Qualsiasi cosa venga appesa al muro di una galleria può essere considerate arte, anche se alcune cose non lo sembrano. L’arte ha varie definizioni. Quello che io considero arte, per esempio, l’ho visto molte volte in Italia. Accadde quando sedevo in un ristorante e un cameriere venne fuori e mi portò un bel piatto di cibo. Quel piatto era arte».
Come reagisce il pubblico dinanzi alle sue foto? E perché, secondo lei, in una società così assuefatta dal sesso – più o meno esplicito – vedere immagini non censurate riesce ancora a creare disagio?
«Le mie foto sono molto più accettate in Italia che negli Stati Uniti. Se fossi una donna o un uomo gay, fotografare donne nude non sarebbe un problema. In Italia (e in Francia) sembrano non esserci quegli stupidi preconcetti che non permettono ad un uomo di ammettere che è un estimatore della bellezza e della giovinezza».
Effettivamente in Italia il filone sessuale e pornografico è molto ricercato, soprattutto tra gli artisti emergenti o underground. Secondo lei è una corrente che può evolversi nel tempo oppure è solo un escamotage per avere una rapida popolarità?
«Ci sono così tante persone che stanno seguendo questa strada che secondo me, ormai, non ha più lo stesso impatto di qualche tempo fa. Ora posso andare online e trovare centinaia di donne che si spogliano e che postano i loro video in rete. Credimi, io non ho fatto tutto questo per diventare famoso, ma semplicemente perché era quello che volevo fare».