Nahon, la sospensione dell'esistenza

Da un anno Brigitte Nahon (Nizza, 1960) abita nel kibbutz di Hatzor, vicino Ashdod, in una piccola abitazione che ha personalizzato. L’elemento natura è ricorrente. C’è un enorme baccello di carruba appeso alla parete, vicino alla porta d’ingresso, conchiglie sparse in un angolo del piatto doccia, in bagno. Alle pareti del soggiorno-studio, disegni recenti che raffigurano rami che s’intrecciano e cactus con i palloncini. Una traccia del soggiorno newyorkese, iniziato nel 1994, quel ventaglio di carta tutto stelle e strisce. In uno scatto veloce, l’artista è ritratta insieme a Jeff Koons: entrambi sono rappresentati in Francia dalla galerie Jérôme de Noirmont di Parigi.

In altre foto è riconoscibile Jean-Marie Gustave le Clézio, premio Nobel per la letteratura nel 2008. Come fermacarte, l’artista usa un pezzo di cristallo di Baccarat, materia di cui è un’interprete straordinaria. Prezioso quanto fragile, tagliente e pericoloso, il cristallo sintetizza l’idea di confini/sconfinamenti: trasparenza, equilibrio, brillantezza, luce, certezza, che possono diventare improvvisamente l’opposto. Una poetica che le appartiene da anni, e che esplora utilizzando anche il filo, il vetro, le piume, l’acqua, lo specchio, in associazione con altre materie, tra cui il policarbonato, il legno, l’acciaio inossidabile, la terracotta e l’argento. Le sue opere, prevalentemente sculture di grandi dimensioni, fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private, tra cui il Fonds municipal d’art contemporain de la ville de Paris (Fmac), il Musée national du moyen age des thermes de Cluny di Parigi, il Musée international de la parfumerie di Grasse, il Jewish museum di New York.

In Italia la sua Fontana del Lauro, commissionata nel 2003 dai collezionisti Angela e Massimo Lauro, è visibile a Città della Pieve (Perugia), nel giardino dei Lauri, nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea. Con l’opera "In connection". "The deaprture" (2009), Nahon partecipa alla collettiva Crisscross, al museo Corinne Maman di Ashdod fino al 18 marzo 2010: In Israele, ogni giorno, percepisco l’idea di situazione paradossale di equilibri, da tutti i punti di vista incluso quello politico.” – spiega – “Vivendo in un kibbutz, mi trovo a sperimentare un nuovo percorso. In questo paese sento che ci sono vari modi per esprimere la mia creatività. Fino alla morte, la mia vita è in uno stato di sospensione, come la mia scultura. Conosco solo l’istante, ma lo capisco nella sua pienezza? E in un lampo di pensiero, di tempo o per un caso fortuito di felicità o tristezza, il filo della mia vita ecco che prende un’altra piega. Quindi il mio spazio interiore, e quello esterno a me, cambia. Ecco perchè Israele è il paese che ben lo simboleggia. È questa sospensione dell’esistenza che mi interessa».