I territori di Ines Fontenla

Ines Fontenla è argentina di Buenos Aires e vive e lavora a Roma da molti anni. La sua esperienza artistica, nel tempo, l’ha portata a indagare diversi lati della cultura contemporanea attraverso l’interesse per il territorio. L’accezione comune di territorio viene indagata nei suoi aspetti più differenti sia che lavori con le carte geografiche, che riempia di oggetti valige bianche, che realizzi città ideali o che rifletta sul buco dell’ozono.

L’artista cura sia il lato concettuale delle sue opere sia la tecnica, servendosi di diversi medium dalla scultura al video, alla fotografia, all’installazione. Il 22 ottobre si inaugura la sua mostra nella sede dello studio legale Lovells a piazza Venezia 11, Roma, mostra che rimarrà visibile su appuntamento fino all’11 gennaio 2010.

L’esposizione è a cura di Chiara Marzi con la collaborazione della galleria Casagrande. Da un colloquio con l’artista approfondiamo i concetti alla base delle sue opere. Ines Fontenla ha cominciato a lavorare con le carte geografiche e ciò che maggiormente la interessava era: «Riflettere sulla rappresentazione della terra nei diversi periodi dell’evoluzione umana. La mia idea era mettere in evidenza come la mappa è sempre una rappresentazione mentale del territorio. Per esempio, fra i tanti lavori, ricordo quello sull’America, nel periodo della sua scoperta, all’inizio, la visualizzazione della sua superficie era puramente fantastica, era praticamente un territorio della fantasia dove ognuno metteva quello che era nei suoi desideri».

Legato a questo discorso il lavoro successivo sulle città ideali: «Il territorio americano era l’utopia, ideale e immaginario. Così sono passata alla rappresentazione dell’utopia in se stessa. Filosofi e architetti hanno cercato di costruite o hanno solo progettato città ideali. Con i loro sogni andavano al di là della realtà. Ad esempio in una installazione ho ricreato, fra le altre, la città del sole di Tommaso Campanella e Atlantide di Platone rappresentandole come se stessero crollando, come se ci fosse l’incapacità di portarle a termine».

Mentre la serie delle valige nasce da un urgenza personale: «E’ un lavoro che ho realizzato seguendo la mia storia, io sono emigrante, figlia di emigranti, nata in un paese di emigranti come l’Argentina, così la valigia era un po’ la metafora di quello che è lo spostamento dell’uomo verso la ricerca di qualcosa di migliore. Ritorno al discorso anteriore sulle utopie, l’emigrante è quello che prova a costruire la sua propria utopia in un territorio nuovo».

L’ultimo sviluppo del suo percorso artistico è l’installazione Il cielo alla fine del mondo nel quale, continua l’artista: «Cerco di parlare del buco dell’ozono mettendo in evidenza come molte volte le conseguenze dell’alto livello di vita della cultura occidentale metta a disagio popoli che non godono degli stessi privilegi, dello stesso benessere. L’arte potrebbe essere uno dei canali per far emergere questo conflitto dell’uomo».
Info: 066758231.