Masbedo, oltre le soglie dell'umano sentire

Inseparabili nei loro intenti artistici, Nicolò Massazza e Jacopo Bedogni sono l’anima dei Masbedo, nome nato dall’unione dei due cognomi. Quasi a celebrare i dieci anni della loro collaborazione – si incontrano nel 1999 – arriva la partecipazione alla Biennale di Venezia di quest’anno, nella mostra Collaudi curata da Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli. La carriera di questo duo è costellata da successi che li spingono a far convergere, sempre più, arti di diversa natura all’interno del linguaggio video. Le loro opere approfondiscono le sensazioni legate all’interiorità, conducendo un’indagine che si sviluppa nel tempo. Il confronto con i sentimenti segna il percorso all’interno delle loro eperienze lavorative, ma è anche espressione di un bisogno umano. La struttura dei loro video è connaturata con le performance attoriali che si distinguono per un taglio drammatico. Nei loro lavori accolgono ciò che striscia sotto la superficie delle cose, pronti ad andare oltre l’evidenza. Entrano nelle profondità recondite dell’uomo, aprendosi a spazi temporali che approfondiscono le soglie dell’umano sentire.

Cosa ha unito le vostre strade?
Nicolò Massazza: «Abbiamo iniziato a lavorare insieme dieci anni fa. Ci ha fatti incontrare il curatore Denis Curti che, avendo visto il nostri lavori, ha capito che poteva esserci una comunità di intenti. La fattura delle nostre opere è molto elaborata, le produciamo interamente: partiamo dalla scrittura, poi c’è il girato, segue il montaggio, la parte legata alle musiche e all’installazione. Masbedo è l’unione di due cognomi ma anche di due cervelli».
I problemi esistenziali, centrali nel vostro universo artistico, come entrano nei vostri lavori?
N. M.: «Per noi l’arte è un meccanismo di elaborazione e di cura del pensiero. Il concentrarsi su queste tematiche è fondamentale per il vissuto interiore che ci appartiene, è come una medicina, una terapia. Ci fa ragionare e pensare, crea delle emozioni anche se non sempre positive. Mettiamo tutto in quel grande contenitore che è il nostro lavoro come se fosse un assorbente».
Nelle vostre opere c’è spesso un confronto uomonatura che si trasforma in lotta, perché?
Jacopo Bedogni: «Nelle nostre immagini la natura non è mai consolante. Deve sembrare un luogo metafisico, che può essere ovunque, una terra di nessuno. Cerchiamo luoghi che possano essere anche dei mondi mentali. L’uomo è infinitamente piccolo e la natura è sovrastante, immensa. Il protagonista è meravigliosamente solo e deve compiere delle azioni fuori dalla propria portata, anche inutili dal punto di vista razionale, ma che danno un senso al suo modo di relazionarsi, di combattere. La natura, sempre estremamente vasta, diventa il palcoscenico di queste relazioni».
In Schegge d’incanto in fondo al dubbio, portato alla Biennale di Venezia, sembra che avvenga un processo di liberazione dei due protagonisti.
N. M.: «Il nostro discorso si basa sul concetto di lotta. Le persone di cui parliamo sono dei Sisifo che devono fare azioni assurde per dare senso alla propria vita, cercando di liberarsi. L’uomo lotta contro la vanità, la metafora di questa lotta è il suo combattere attaccato a un paracadute nero, gigante, che si gonfia con il vento in questa landa desolata fatta di neve, ghiaccio e freddo. Crede di poterlo dominare, ma fa solo una grandissima fatica. Vuole liberarsi e dare senso alla vita attraverso un meccanismo fatto di forza e scontro. Nel caso della donna non si capisce se cerca di trattenere o liberarsi dagli oggetti di una casa legati a lei in mare. Questo mondo fatto di cose che le appartengono, che fanno parte del suo interno emotivo e psicologico ma anche dell’ambiente fisico in cui abita, simboleggiano la sua chiusura in uno schema, se vogliamo un po’ morale, che è appunto quello di mettere insieme casa, donna e famiglia. Finita questa performance molto dura e filmica, lei che nuota con tutti questi oggetti, trova uno scoglio, vi sale e accende uno di quei fumogeni che danno l’allarme quando si è in pericolo o in caso di naufragio e questo simboleggia il suo grido finale rivolto all’umanità. In questo video rappresentiamo non solo forme di liberazione dalla propria angoscia ma anche, per l’uomo, la volontà di mostrare la propria forza e, per la donna, il voler mettere in allarme l’umanità».
Com’è il rapporto uomo-donna e che ruolo ha il desiderio nel vostro lavoro? Sono questi i temi della collaborazione con Michel Houellebecq?
J. B.: «Nel nostro lavoro abbiamo sempre fatto una ricerca sulla sofferta relazione esistente tra l’uomo e la donna. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con Michel che affronta tematiche simili. Ad una prima lettura delle nostre opere si potrebbe notare un messaggio esclusivamente pessimista, ma nonostante questa società sembra tendere a dividere e allontanare, esiste l’intenzione di comunicare. Non a caso la nostra prima mostra si chiamava appunto L’intenzione di amare. L’uomo e la donna accomunati dalla solitudine, in differenti lavori, compiono performance talvolta anche disperate che hanno però sempre la volontà di arrivare a una relazione».
Nei vostri lavori esiste la ricerca di un equilibrio fra istinto e controllo.
N. M.: «Certamente. Miriamo a produrre immagini estetiche molto seduttive ma all’interno di queste affrontiamo istinti legati a dinamiche psicologiche anche dure. I concetti devono essere forti, emozionanti, coinvolgenti. Quando si utilizza un tipo di estetica come la nostra, portata al limite, l’istinto viene un po’ frenato perché è come se non avesse la possibilità di liberarsi in tutta la sua energia più animale. Diventa legato al controllo dell’immagine. Nel prodotto ci sono delle costrizioni: l’impostazione della luce, dell’inquadratura, il lavoro sulla parte attoriale, la costruzione scenografica. Tutti questi elementi occupano maggiormente il lato razionale rispetto a quello più impulsivo e psicologico. Il momento più istintuale è la creazione, quando iniziamo a scrivere le idee e a metterle insieme: facciamo sempre una sorta di ping pong filosofico, argomentando su un tema senza la catena della rappresentazione».