Da qualsiasi punto la si guardi, frontalmente o latermente, da lontano, da sinistra o da destra, la Gioconda di Leonardo da Vinci non smette di guardarti. Suscita stupore e al contempo inquietudine. Un ritratto statico che da secoli non perde movimento. Il suo sguardo? Uno sguardo che va oltre la vernice.
“Farai la figura in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura umana ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile”. Leonardo riuscì in questa impresa, nel compito di rappresentare, attraverso un dipinto, ciò che il soggetto portava con e dentro di sé.
Ma cos’è un ritratto? Innanzi tutto è bene puntualizzare come il ritratto sia uno dei più antichi generi pittorici che la storia dell’arte abbia mai conosciuto. Il suo successo, perpetuatosi nel tempo, deriva dai più comuni desideri che da sempre animano l’uomo: lasciare una propria immagine per opporsi all’avanzare del tempo, costruire un altro sé, rendersi immortale, anche se solo figurativamente, conferire realtà ad una finzione, ad un artificio, per far sì che sia possibile la testimonianza dell’esserci, qui, ora sempre. Un inganno a metà tra verità ed illusione dal fascino sottile.
Ma può bastare questa breve argomentazione per definire l’arte ritrattistica? Oppure c’è dell’altro? Diverse e molteplici sono le interpretazioni e opinioni su cosa sia e su come debba essere concepito un ritratto. Comune resta l’attenzione e l’attrazione per il volto umano, sia esso piacevole, invecchiato triste, provato, giovane, allegro; per lo sguardo, languido, pensieroso, sognante, fermo.
Tele e tele, allegoriche, surreali, romantiche, rinascimentali, impressioniste, hanno avuto per oggetto il volto e lo sguardo umano. Perché? Perché il volto parla, cela, nasconde, dichiara, urla. L’espressività del viso umano è un soggetto perennemente in divenire, mai statico, eppure sempre uguale a se stesso. Perché gli occhi, tornando a citare Leonardo, sono lo “specchio dell’anima”. Provate a guardare negli occhi chi si mostra nudo a voi, senza difese, chi non è mai riuscito ad alzare quell’enorme muro con cui tiene a distanza chiunque; guardatelo negli occhi. Inevitabile sarà uno scuotimento interiore. Motivo sufficiente per cercare di riprodurlo. Motivo sufficiente per dipingerlo, per fotografarlo, per descriverlo.
Fino al Rinascimento il ritratto non venne eseguito se non con un puro e semplice compito descrittivo. A partire dal ‘500, invece, si aggiunse il bisogno di indagare quel volto umano. E allora ecco che il ritratto non rimane un semplice genere pittorico tra i tanti ma una rappresentazione dell’interpretazione che gli artisti danno del soggetto raffigurato del quale viene estrapolato il vissuto interiore.
Raffaello, Tiziano, Veronese e poi ancora Durer fino all’indagine fisionomica e psicologica di Rembrandt. Vivendo i ritratti allegorici e galanti di Mignard o della Carriera o ancora di Gainsborough fino ad arrivare alle opere di Christian Boltanski, Gino De Dominicis, Richard Hamilton, John Hilliard, Craigie Horsfield, Urs Lüthi, Marisa Merz, Bruce Nauman, Roman Opalka, Giuseppe Penone, Arnulf Rainer, Gerhard Richter, Thomas Ruff, Thomas Schütte, Beat Streuli, Wolfgang Tillmans, Bill Viola, Andy Warhol.
E oggi? Qual è il valore e il significato che viene attribuito ad un ritratto? È ancora lecito pensare la rappresentazione del volto come corrispondenza significativa tra immagine e soggetto? In che misura e con quale intensità le nuove scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche hanno mutato la raffigurazione del volto nell’arte? Domande queste, a cui tenta di rispondere la mostra “Guardami. Il volto e lo sguardo nell’arte 1969-2009” dal 24 ottobre al 21 febbraio al Museo Cantonale d’Arte di Lugano. Attraverso 80 opere di oltre 40 artisti, si intende indagare la ricerca artistica internazionale degli ultimi quarant’anni valutando la persistenza della rappresentazione del volto, le sue alterazioni e trasformazioni. Le opere provengono da Musei, Fondazioni, gallerie e collezionisti di tutta Europa, oltre che dagli artisti stessi. Chissà se nel vederla potremmo trovare risposte degne alle nostre perplessità. Info: www.museo-cantonale-arte.ch