Meccanismi di visione nel nuovo appuntamento di Quotidiana a Palazzo Braschi

Per Quotidiana, la radicalità dello sguardo dei fratelli Ingrassia e l'indagine di Fenara sulla natura delle immagini e della visione

La Quadriennale di Roma porta avanti, da settembre 2022 assieme a Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, QUOTIDIANA, programma espositivo che coinvolge il Museo di Roma – Palazzo Braschi, con lo scopo di indagare e far emergere gli artisti e i loro orientamenti, nell’arte italiana contemporanea. Il palinsesto delle mostre, presentate nelle sue sale al piano terra del museo, si suddivide in due sezioni: Paesaggio, nella quale ogni due mesi, sei curatori italiani e stranieri riflettono su traiettorie artistiche attraverso un testo critico e una mostra con poche opere essenziali;  Portfolio, undici artisti under 35 sono presentati in mostra una volta al mese con una sola opera. A raccontarne la ricerca è un portfolio sviluppato da Gaia Bobò, curatrice in residenza alla Quadriennale. Le due sale sono unite da un atrio adibito a sala di lettura, dove sono messi a disposizione del pubblico i testi critici sviluppati dai curatori delle due rassegne. Il 16 marzo è stata aperta al pubblico la quarta mostra della sezione Paesaggio, dedicata ai gemelli Carlo e Fabio Ingrassia, e in contemporanea, per la sezione Portfolio, è stata presentata l’opera dell’artista Irene Fenara (Bologna 1990).

Una sala buia, un fascio di luce che illumina un piccolo quadrato posto al centro della parete sul fondo. È così che viene presentata Astrazione Novecentista (La Casa Rossa), lavoro dei fratelli Ingrassia facente parte dell’omonima serie, realizzata con pastelli colorati su cartoncino scholler, duro e resistente, ma allo stesso tempo respingente in quanto riesce a non assorbire i colori. L’opera, incastonata nel muro e protetta da un vetro, restituisce uno sguardo frammentato su un esterno domestico. Le mura dello stesso, divengono una soglia tra privato e pubblico, un piano sensibile di accesso a una intimità dei luoghi a cui tuttavia non ci è consentito accedere, lasciando spazio a una dimensione immaginata o sognata, caratterizzata da un senso di estraneità e malinconia. Nell’apparente oscillazione generata dal trattamento della luce da parte degli artisti, l’immagine si conforma come uno spazio tremulo capace di esprimere radicalmente un senso di precarietà del vissuto.

«Il lavoro che è stato presentato – racconta Carlo Ingrassia – è un occhio di luce, un piccolo “catturatore” visivo, dove chi osserva da lontano, a distanza, non vede ciò che è rappresentato. È un lavoro che porta ad avvicinarti per poter essere osservato. È un’opera che non si vede a primo impatto, vuole essere accolto ma allo stesso tempo, rimanere isolato, mantenere una distanza. Potremmo definirlo respingente. Va visto come un’esperienza, un immaginario. Va anche cercato, ci si avvicina per scoprirlo e forse per farlo rimanere nella memoria». Gli artisti lavorano in sinergia, portando a compimento ogni progetto meticolosamente secondo un preciso schema metodologico. «La pratica dal fare arte è sempre stata una nostra prerogativa – afferma Carlo – Per noi è importante più che predicare l’arte, praticarla. Il fatto che lo facciamo entrambi è una possibilità che ci siamo dati.  Abbiamo visto che il gesto di uno poteva entrare in quello dell’altro. Il nostro lavoro si basa su un discorso, che non va sempre bene, un discorso fatto di una “lotta” e in questo fare ci siamo ritrovati». I due fratelli, infatti, operano a volte simultaneamente, altre volte in modo separato, sul medesimo centimetro quadrato del supporto cartaceo, organizzato mediante una griglia. Uno va ad aggiungere lavoro su quello dell’altro o a eliminarlo, o raccordano i movimenti di uno in un altro gesto. Con l’avanzare di questo processo la superficie registra una densa stratificazione di segni che, sovrapponendosi gradualmente, conducono alla costruzione di un’immagine complessa, risolta nel piccolo formato.

L’esposizione di Carlo e Fabio Ingrassia, inoltre, trae origine dal saggio L’arte radicale di Carlo e Fabio Ingrassia di Michelangelo Pistoletto, di cui si è inaugura lo stesso giorno al Chiostro del Bramante la mostra Michelangelo Pistoletto. INFINITY L’arte contemporanea senza limiti, a cura di Danilo Eccher. Nel lavoro dei gemelli Carlo e Fabio Ingrassia, la creazione artistica coincide con una pratica esistenziale: l’opera, per usare le parole di Pistoletto, diviene il “luogo in cui avviene la connessione, unione, integrazione e fusione di tutti gli elementi singoli e separati”. «Pistoletto ha visto le nostre opere e ci ha visto un lavoro metafisico, che supera la fisica e riporta ad una radicalità, intesa come “arrivare alla radice”. Radice nel senso del seme che, germogliando nella terra, crea l’albero, il cui seme ricadrà nella terra. Un lavoro radicale, qualcosa a nostro avviso che ha a che fare non con l’originalità dell’opera ma un lavoro originario», conclude Ingrassia.


Irene Fenara, Supervision, 2021, Quotidiana_Portfolio, Museo di Roma, Palazzo Braschi, 2023, veduta d’allestimento, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto Carlo Romano 

Nella sezione Portfolio è presentata l’opera di Irene Fenara la cui pratica indaga la natura delle immagini e dei meccanismi della visione, soffermandosi in particolare sulle implicazioni legate alle riprese di immagini da parte di dispositivi ottici quali le telecamere di sorveglianza, da anni al centro della sua ricerca. «La maggior parte della mia ricerca – dichiara l’artista – si basa sull’uso di immagini provenienti da videocamere di sorveglianza private, a cui i proprietari non hanno cambiano i codici di sicurezza lasciando quelli di fabbrica, rintracciabili scaricando i libretti d’istruzioni online. Hanno un accesso molto semplice, non è un hakeraggio, è semplicemente un login.Mi interessa che uno strumento, molto funzionale e con uno scopo specifico, sorvegliare qualche cosa, diventi l’opposto di quello per cui è stato pensato: si trasforma in una finestra aperta e chiunque abbia una connessione internet. Quindi quello che faccio è appropriarmi di immagini che mi sorprendono e mi interessano le situazioni in cui la funzionalità viene meno a favore dell’estetica». Nella serie Supervision (2018 – in corso), l’artista estrapola dei fotogrammi dai circuiti delle videocamere di sorveglianza con lo scopo di evidenziare l’imprevedibilità e soggettività dello sguardo delle stesse. Le immagini selezionate sono vedute talvolta irriconoscibili, astratte, alterate da difetti di fabbricazione, come quelli di una particolare videocamera che non recepisce bene la luminosità o altre che non trasmettono bene i dati; o dall’insorgenza di fattori esterni e ambientali che rovesciano la primaria funzione di controllo delle videocamere, come foglie che crescono, pioggia che bagna l’obiettivo o il sole che crea abbàgli e giochi di luce. L’opera in mostra, realizzata nel 2021, restituisce una visione oscurata dalla crescita incontrollata delle fronde di un albero, i cui colori appaiono alterati da un difetto della macchina. La sua funzione di sorveglianza appare dunque neutralizzata dall’incognita della trasformazione della natura, che come un’interferenza devia il dispositivo verso un’esperienza di apertura poetica, portando a rifletterci sulle potenzialità estetiche di questi sguardi meccanici che affollano il nostro quotidiano.
«Mi sono sempre interessati i diversi dispositivi tecnologici e i loro limiti – conclude Fenara – perché penso che quest’ultimo vada ad aggiungere un significato a quello che si sta facendo. Mi interessa proporre una visione alternativa, in questo caso è la visione alternativa e alterata di una macchina con una funzionalità diminuita. La visone delle macchine mi ricorda quella di un animale: sono visuali diverse sia dalle nostre e che tra loro, di specie in specie e quindi di marca in marca. Ritengo che, dato che vediamo in modo diverso, pensiamo anche diversamente». 

Paesaggio – Carlo e Fabio Ingrassia
dal saggio di Michelangelo Pistoletto, “L’arte radicale di Carlo e Fabio Ingrassia”
17 marzo – 7 maggio 2023

Portfolio – Irene Fenara
17 marzo – 9 aprile 2023
Museo di Roma a Palazzo Braschi – piazza San Pantaleo, 10

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