Giuseppe Lo Schiavo

Torino

Alcuni artisti sono così radicati nel proprio territorio che guardando una loro opera, viene immediato associarli al loro Paese d’origine. Altri, invece, nascono con uno sguardo e una sensibilità cosmopoliti, dando vita a progetti artistici privi di precise connotazioni locali, capaci di sorpassare le frontiere del gusto. Il giovane fotografo Giuseppe Lo Schiavo appartiene senz’altro alla seconda categoria. A testimoniarlo sono le decine di articoli e segnalazioni che importanti testate straniere, dal tedesco Süddeutsche Zeitung, al brasiliano O Estado de S. Paulo a Bbc news, hanno dedicato ai suoi affascinanti progetti fotografici. Wind Sculptures, la prima di due serie realizzate nel 2015, ha già fatto il giro del web, attirando colossi come Saatchi gallery e il portale Vice. Beyond Reality, Beyond Photography, il titolo della mostra che l’ha visto protagonista, tra l’autunno 2014 e gennaio 2015, prima a Torino, da Burning Giraffe art gallery e, successivamente, alla Ingo Seufert gallery di Monaco di Baviera, racchiude l’essenza dell’approccio artistico di Lo Schiavo. «La fotografia – spiega l’artista – appare come uno strumento passivo di rappresentazione, cerco invece di stravolgere questo processo, rappresentando il reale con una visione soggettiva, frammentaria.
Tutto per me inizia fuori dalla macchina fotografica, lo scatto avviene solo alla fine del processo creativo. Mi piace inventare più che scoprire, un po’ come succede nella pittura». Con Wind Sculptures, l’artista ha sopraffatto il fotografo, ritraendo quella che è, a tutti gli effetti, una performance di cui è protagonista in prima persona. «Avevo bisogno di controllare tutto il processo creativo – afferma Lo Schiavo – avendo bene in mente cosa cercavo. La performance della persona dietro il foglio di alluminio era fondamentale per la riuscita delle sculture, ma non è stato sempre possibile. Per esempio, nell’immagine sulla neve, a quasi 4.000 metri, c’era un mio assistente dietro la metallina, in piena tempesta di vento gelido, bisognava essere veloci. Infatti il foglio di circa 20 metri quadri è stato ridotto a brandelli. Volevo invadere il mio progetto anche fisicamente, come nel cinema, dove spesso alcuni registi partecipano con un cameo nel proprio film. Ma a chi pensa che il mio era un ruolo da protagonista, rispondo che non mi si vede nemmeno».

L’appeal internazionale delle opere di Lo Schiavo, oltre che alla loro affascinante eleganza classica e alla precisione della composizione, è senz’altro dovuto alla riconoscibilità dei riferimenti storici a cui, di volta in volta, si rifanno i progetti. Levitation, del 2011, è una rielaborazione del Castello dei Pirenei di Magritte, Ad vivum del 2013, si rifà alla ritrattistica fiamminga. «In generale – dice il fotografo – non credo siano indispensabili i richiami a periodi della storia dell’arte o ad artisti specifici. Nel mio caso forse lo sono e proprio quando penso di rinunciare a questi punti di partenza me li ritrovo poi al punto di arrivo. Non se ne esce facilmente. Ho vissuto a Roma dove l’arte è qualcosa di sacro, e in alcuni musei vedi persone farsi il segno della croce all’ingresso. A Londra, invece, entro spesso nei musei anche solo per mangiare scones. Credo che noi italiani portiamo nel dna l’esperienza artistica del passato, sono informazioni che hanno modificato la nostra cultura nel corso dei secoli, ma credo anche che a volte bisognerebbe dare molto più spazio alle nuove idee e al contemporaneo. Non possiamo vivere solo di passato, dobbiamo iniziare a storicizzare anche il nostro presente».