Vetere al The Orange Garden

Roma

Un nuovo modo di pensare al futuro dell’uomo, non nello spazio, ma sott’acqua. Come cambierebbero i rapporti umani? Che forme prenderebbe un normale giardino privato? Sulla scia di queste domande e attraverso lo studio di forme reali, l’artista Giovanni Vetere presenta il suo nuovo progetto, Giardini Acquatici, domani al The Orange Garden. Non un evento classico,  non è una mostra nasce da artista e mecenate e dal bellissimo rapporto che si è venuto a creare. È stato infatti grazie al confronto con Matteo d’Aloja, collezionista e appassionato d’arte, che Vetere ha creato due nuove sculture. La prima, una grande palma dell’Antica Mesopotamia, richiama storie lontane tra realtà e sogno, mentre la seconda, un corallo colossale in ceramica e ferro, rappresenta un sistema di organismi più complessi, che a loro volta formano intere società acquatiche che tengono in vita il 25% delle creature marine. Entrambe richiami di vite alternative da quella terrestre, le due opere sono il punto di partenza per un progetto più esteso su un ipotetico futuro del genere umano. Matteo d’Aloja racconta la nascita e lo sviluppo di questo felice connubio.

Cosa ti ha colpito di lui? «Questo ragazzo è geniale, ha 22 anni ed è riuscito ad inventare sia a Londra che a Roma due cose pazzesche. Ha una facilità di fare le cose che mi fa impressione, per cui gli ho chiesto di fare due opere per me. Per dire, Manfredi Gioacchini, fotografo internazionale di artisti grandissimi, ha notato Giovanni e gli ha fatto una serie di foto che ora ha in esposizione a Città del Messico.»

Che arte ti piace collezionare in genere? «Il mio è un gusto abbastanza classico, ho sempre collezionato gli artisti romani, periodo 40, 50, 60. Per anni ho cercato una galleria di arte contemporanea con cui stabilire un buon rapporto insieme all’artista. Mentre con l’arte che mi piace di più prediligo il criterio estetico, con l’arte contemporanea quello che conta per me è il rapporto di fiducia che si viene a creare con l’artista.»

Vetere è il primo artista contemporaneo che collezioni? «È la prima volta che ho un collegamento diretto con un artista, che mi da fiducia, a cui do fiducia e dal quale nasce un’opera d’arte.»

Lui a Londra e tu a Roma. Come è iniziato questo rapporto? «Dopo aver visto Squid Dinner al The Orange Garden, sono rimasto davvero colpito, e l’ho chiamato. Abbiamo cominciato facendo lunghe chiaccherate al telefono prima di vederci. Quando poi ci siamo incontrati mi ha fatto vedere i lavori che aveva fatto a Londra e raccontato il suo progetto del futuro. La sua linea guida sono l’acqua e l’uomo acquatico, perché non si immagina il futuro dell’uomo nello spazio, ma sott’acqua.»

L’artista ha riconosciuto che Giardini Acquatici è un’opera bicefala. In che modo? «La cosa che mi ha dato la carica per andare avanti è che io gli ho dato una serie di input sulla direzione da prendere, che lui ha accolto e da cui è partito con le sue ricerche. Per esempio, gli ho mostrato dei disegni di una palma babilonese, il mio sogno estetico da sempre, e a lui è piaciuto moltissimo. Poi abbiamo iniziato a parlare di virus e di coralli, e lui si è messo a lavorare, facendo dei disegni su scale enormi, ho perso il controllo di questa cosa. Alla fine si è inventato di far uscire dalla parete un corallo enorme tutto ramificato, con questo virus che attacca il corallo puro. Si è immaginato un futuro post-apocalittico in cui queste specie popolano l’acqua. Ha lavorato presso un forno a Roma per riprodurre queste opere in ceramica, dove andavo sempre a trovarlo, e si è creato un bellissimo rapporto. Per lui queste due opere, Giardini Acquatici, sono il principio di un progetto più grande che porterà avanti».

Perché definirla una non mostra? «La volontà è di contrastare la situazione per cui il committente chiede un’opera all’artista e tutto si chiude con la consegna. Siccome sono due opere enormi, l’idea che soltanto i miei amici potessero vederla mi dispiaceva. Allora gliel’ho proposto, lui è stato d’accordo e ha contattato la galleria, che ci ha dato lo spazio per una giornata. Quello che gli ho chiesto di fare è anche di esporre tutti i bozzetti sia di carta che di terra cotta, perché dietro c’è un lavoro importante. Questo è il momento zero del progetto, secondo me sarà una cosa divertente da vedere.»

Che visibilità volete dare alla cosa? «Giovanni è molto scettico rispetto alla comunicazione di questo progetto, perché siamo all’inizio. Secondo me è giusto invece comunicarlo. Sono stufo di sentire in Italia la locuzione ”giovane” accanto ad artista, all’estero non funziona così. A Londra ha trovato i fondi per fare le sue opere, e non è considerato giovane, è semplicemente un artista.»

Un pensiero anche su Londra per cui è riuscito nonostante l’etichetta italiana a fare opere su queste scale. «Assolutamente, la sostenibilità dell’opera è necessaria, lo dimostra la storia. Solo attraverso il vero mecenatismo si riusciva a fare delle belle opere e gli artisti diventavano grandi. Il mio è un piccolo contributo. Lui è un connubio di manualità, idea e capacità imprenditoriale, ormai l’artista deve essere imprenditore di se stesso e tutto questo ha un valore per me.»

E poi niente toglie che possiate proseguire questo percorso insieme. «Vedremo, intanto avevo voglia di condividere una bella cosa».

The Orange Garden
Opening sabato 16 febbraio, ore 11-13 e 18-21
Via Crescimbeni 11 – Roma