Letizia Battaglia

La prima donna in Italia fotografa a lavorare in un quotidiano, la prima donna europea a ricevere il Premio Internazionale Eugene Smith e forse non la prima, ma sicuramente una delle poche, a impugnare la macchina fotografica a quant’anni suonati e a diventare così grande. Questo possiamo dire con certezza di Letizia Battaglia, classe 1935. Un fare rigoroso, concreto e passionale nel lavoro e un portamento solare e semplice la identifica da sempre, come nella foto che la ritrae in una giornata luminosissima insieme al collega e compagno Franco Zecchin, che la protegge con un ombrello così simile alla fotografia con Picasso e Francoise Gilot. La sua è la storia di una donna che ha unito magistralmente in un’osmosi armonica vita e lavoro come pochi riescono a fare.

Due anni fa il Maxxi le ha dedicato un’antologica esaustiva e amorosa, come lei l’ha definita e nello stesso anno il New York Time l’ha inserita tra le undici donne più influenti al mondo. Tra poco più di un mese anche Venezia le dedica uno spazio espositivo alla Casa dei Tre Oci, ma in questi giorni negli ampi spazi della splendida e ottocentesca Villa Mimbelli di Livorno è già in corso una sua mostra, promossa dalla Fondazione Laviosa e Comune della città, curata e fortemente voluta da Serafino Fasulo. Fino a metà marzo cinquanta suoi scatti ci raccontano la sua opera, i suoi bianchi e neri, il suo angolo di prospettiva. Battaglia ha esposto negli anni in Italia e in altri paesi europei, portando i suoi lavori di documentazione dell’intera città di Palermo, dei suoi vicoli, della sua gente, delle strade e degli anni terribili e scatenati dei morti ammazzati di mafia. Certo è che per il grande pubblico la Battaglia è la fotografa della mafia. Ripetuto e codicizzato è un appellativo che la fotografa rifiuta e ripudia con forza, perchè lei non ha scelto la mafia, ma è stata la mafia a scegliere Palermo in quegli anni, in cui lei lavorava al quotidiano l’Ora.

Tornata da Milano dove aveva collaborato con diversi giornali e fotografato diverse personalità come Pierpaolo Pasolini, torna nella sua adorata e odiata città e lavora per oltre diciotto anni come cronista cittadina. Lì avviene l’incontro e lo scontro inevitabile con i fatti di mafia e da questi non può scappare. Battaglia viene chiamata molto spesso, a volte quoditianamente, racconta lei stessa in un giorno cinque volte, per documentare uccisioni di mafia ed è quasi sempre la prima ad arrivare sul luogo del tragedia, grazie a un rapporto privilegiato del giornale con la questura della città. Arriva con la sua macchina fotografica, dove ci sono solo uomini, poliziotti e giornalisti, politici e avventori che non la fanno passare perché è donna, solo per questo.

Uno stress infinito e terribile, afferma lei, che si mette a urlare per strada nel caos concitato di quei momenti e che trova unicamente in Boris Giuliano, capo della Polizia dell’epoca un complice che l’aiuta a svolgere il suo lavoro. Fotografa l’uccisione del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, scatta fotografie a Giulio Andreotti in compagnia di Nino Salvo di Cosa Nostra, che saranno utilizzate agli atti dei processi a seguire. Questo il suo mestiere che ha reso celebri i suoi scatti molto di più dei numerosissimi altrui che pure hanno immortalato gli stessi soggetti. Eppure dalla sua non ha avuto neanche una preparazione tecnica e un momento di studi. Ha avuto dei maestri, dei complici come Joseph Koudelka e con lui ha viaggiato in Jugoslavia, Nord Europa, Turchia. Autodidatta, libera, ecologista e politica impegnata come deputato anni addietro. Una certa côté sociale e passionale l’ha indirizzata, il modo di restituirci quelle scene terribili è stato un modo rispettoso, imprenscindibile per il suo sentire.

L’uso del bianco e nero, la direzione della luce hanno sopito la crudezza e l’uso del grandangolo ha avvicinato quei corpi all’occhio dell’osservatore. Fatti di morte pietosamente raccontati e non meramente registrati, tanto meno ostentati. Dagli anni ’90 il climax delle uccisioni è andato scemando fino a scomparire e Battaglia si è potuta dedicare alla sua gente, bella e miserabile, nobile e tormentata dei quartieri più difficili di Palermo. Le donne e i bambini, soprattutto le bambine. Ha trovato in loro una parte di se stessa, oscillando tra il suo sogno e quello degli occhi giovani che va ritraendo. Sogno sì certamente, ma anche e soprattutto speranza concreta di portare la bellezza tra i giovani di Palermo. Nel novembre 2017 prende corpo ai Cantieri Culturali alla Zisa il Centro Internazionale di Fotografia, diretto dalla fotoreporter palermitana ultraottantenne senza esitazione e senza alcun risparmio di energia e passione.