La tana

”Ho costruito la tana e sembra riuscita bene. Dall’esterno è visibile solo un grosso buco, in realtà esso non conduce da nessuna parte, dopo pochi passi già ci si imbatte nella roccia naturale, compatta”. Sulla quarta di copertina del graphic novel La tana (Nicola Pesce editore, 64 pagine a colori, 16.90 euro) campeggia, quasi fiero, l’incipit di uno degli ultimi racconti di Franz Kafka, scritto nel periodo berlinese (tra il 1923 e il 1924), ovvero più o meno sei mesi prima della sua morte. Pubblicato postumo dall’amico Max Brod, incompiuto – nonché narrato in prima persona – questo racconto si inserisce tra le opere più complesse dell’autore praghese di lingua tedesca. A quasi un secolo dalla sua pubblicazione, La tana riflette oggi di luce inedita grazie alla versione a fumetti scritta e disegnata da Pietro Elisei, autore umbro classe 1989, che – mai banale – spiega: «Incontrare Kafka e cercare, in qualche modo, di farlo mio non è stato immediato. Con ogni probabilità La tana è il racconto che più ha saputo toccare la mia anima, facendo dell’autore un compagno di viaggio con cui ho condiviso molte delle sue immagini. Ma anche gli stati d’animo e quella sottile, ma insistente, sofferenza che pervade il racconto».

Una narrazione a fumetti, quella offerta da Elisei, attraverso un disegno dai tratti ”nervosi”. E assai suggestivi. «Disegno in questo modo da molto tempo, sia nell’animazione sia nel fumetto – riprende l’autore – utilizzando colori acrilici che poi lavoro con strumenti di incisione: sgorbie, puntesecche ed altri oggetti». Ammette: «Odio i miei disegni. Li graffio, li incido, li taglio e riverso in loro tutto quello che durante la vita tengo soffocato. Non so bene perché faccio così». L’esito è un’opera che emerge interessante in tutte le sue fasi di sviluppo. Non semplici, come evidenzia Elisei. «Quando si è sotto contratto con una casa editrice, le tempistiche sono più ristrette. La mia Tana ha richiesto sei mesi per nascere, anche se era già scritta e disegnata nei miei pensieri. La parte più facile? Disegnare. La parte più complicata? Capire cosa disegnare». E per quali ragioni trascorri giornate intere su una singola inquadratura di una singola vignetta? «Perché ogni cosa deve essere perfetta. Per qualche secondo lo è, appena terminato un disegno. Ma l’attimo dopo già rifiuto il disegno appena fatto».

Metodo e abnegazione. Quasi a rievocare il racconto originario nel quale Kafka scrive dell’ossessione del protagonista di edificarsi un rifugio ideale. Perfetto. Un riparo nel quale godere di una protezione assoluta, inattaccabile da qualsivoglia nemico. Nemici che, in realtà, sono soltanto incessante timore degli altri e di se stesso, paure (mal) sopite da ipotesi, angosce e tormenti. «Credo che Kafka, inqualificabile eccellente per antonomasia, sappia entrare nelle ferite che ognuno di noi ha, insinuandosi – con il suo modo semplice ma al contempo tagliente – nelle sfumature delle nostre emozioni», riprende Elisei, che ammette: «Sto ricevendo complimenti anche da chi non conosceva Kafka e i suoi scritti, o quantomeno era al corrente soltanto dei più noti. Molti si soffermano sullo stile che uso per disegnare, ma – torno a ripetere – ancora mi sento limitato e bloccato dalla rappresentazione».

Info: www.edizioninpe.it

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