Nelson Pernisco

Direttamente dalle nostre pagine del giornale vi proponiamo la versione integrale di un articolo pubblicato sul numero 113

Parigino, 24 anni, Nelson Pernisco ha già fatto cinque mostre personali e varie collettive. Il modo in cui lavora rompe l’idea dell’artista romantico: privilegia la condivisione di conoscenza con il pubblico e con gli altri artisti. Stabile per il momento a Le Wonder, uno spazio d’arte collaborativo in città, ma lavora anche altrove, cosicché il nomadismo che caratterizza il suo stile di vita si riflette anche nella sua opera. Creazione e distruzione non sono vissuti come concetti opposti, piuttosto un continuum: il tempo distrugge la materia, ma dalle rovine qualcosa di nuovo nasce sempre.

Potresti raccontarmi del tuo lavoro e di come lo crei?
«Utilizzo soprattutto il corpo, spesso violentemente. Quello che mi interessa è la traccia lasciata da questa performance, che invece non mostro mai. Viaggio molto due o tre volte l’anno mi aiuta a trovare nuove idee e direzioni. Quando ero a Hiroshima nel 2016, ho scattato diverse foto con il mio cellulare, le ho stampate e ne ho fotocopiate migliaia, in modo che dessero l’impressione di immagini rovinate in bianco e nero e che richiamassero quelle dei libri di storia. È così che è nata la mostra personale To see, not to see. To hear, not to hear. Exhum, inhume che ho fatto in una galleria a Tokyo. Al mio rientro non riuscivo a smettere di pensare all’origami degli uccelli, che a Hiroshima sono diventati il simbolo commemorativo della bomba atomica. In Giappone dicono che se crei 1000 gru piegando fogli di carta puoi sopravvivere a un disastro. Una storia narra di una bambina malata per via delle radiazioni nucleari: provò a produrre questi origami, ma arrivata a 646 morì. Quell’immagine mi ha scioccato, così ho deciso di riprodurre l’origami con un pilone elettrico che ho chiamato C’est qu’est au feu le vent. E questo è solo un esempio di come lavoro».

Spesso ti concentri su concetti come creazione e distruzione. Da dove viene questo interesse?
«Quando avevo 17 anni ho lasciato la casa di miei genitori per andare a vivere in uno squat. Da quel momento ho continuato a spostarmi da un luogo all’altro. Con altri artisti abbiamo iniziato una sorta di ciclo: ci accordiamo con promotori importanti per occupare gli edifici destinati alla demolizione e alla successiva ricostruzione, gratuitamente o in scambio di un piccolo affitto. Così ti ritrovi a lavorare in un palazzo, ti ci affezioni, ma presto devi ricominciare tutto daccapo. Adesso abbiamo questo edificio di 6 piani dove siamo 55 artisti con il permesso di lavorarci ogni giorno e uno spazio espositivo di tre mila metri quadrati e ci stiamo muovendo da un posto all’altro nei sobborghi di Parigi. Questo è quello che c’è dietro le mie sculture. C’è un’influenza dello spazio, dell’ambiente e del posto in cui vivo».

Qual è un progetto a cui sei particolarmente legato e perché?
«De la Surveillance aux Surveillés. Parigi, 2016, giovani manifestavano per le strade contro una nuova legge sulla classe operaia, i poliziotti erano molto violenti. Ho cominciato a pensare a un progetto che contestasse il comportamento della sicurezza nei confronti delle persone. Così ho filmato i poliziotti con una telecamera da un’altezza di sei metri nel momento in cui sono tutti in riga prima di assalire la folla. Ho creato un programma informatico che assomigliasse a quelli che rilevano comportamenti anomali nellE città, per poi segnalare i manifestanti con riquadri verdi e la polizia con riquadri rossi, rivelando un eventuale comportamento anomalo. L’installazione ha innescato una conversazione tra le persone e i poliziotti che sono venuti all’inaugurazione della mostra. Quando ci sono queste dinamiche sento di aver fatto bene il mio lavoro. Il titolo della mostra era All the cops are beautiful».

Come è essere un artista giovane a Parigi oggi?
«Cerco di non aspettare tutta la vita prima che qualcosa accada, ma di crearla. Le cose si stanno muovendo molto con il sistema economico, soprattutto tramite Instagram, uno strumento potente nel mondo dell’arte di oggi. In quanto giovane artista devo curare questa nuova relazione con il pubblico, il nuovo modo di esportare il lavoro fuori dal proprio paese. Non è più soltanto la mostra che lo consente. Credo che l’opera d’arte dovrebbe parlare da sola, perché voglio che le persone possano fare esperienza della storia e spesso il titolo aiuta a dare una direzione, infatti ci lavoro molto: tutti insieme potrebbero creare una sorta di bizzarro poema. Inoltre il fatto che coabiti con altri artisti è positivo perché alimentiamo la discussione sull’arte continuamente. Credo che sia come rompere l’idea dell’artista del XIX secolo, da solo nel suo studio. Per me è abbastanza folle credere di poter aver successo da soli, conta molto il confronto e la condivisione di esperienze e di conoscenze».

Quali sono le principali responsabilità e difficoltà che senti in quanto artista del nostro tempo?
«La responsabilità consiste nel creare diverse forme che aprano spazio per la discussione. Considero il mio lavoro un successo quando le persone cominciano a discuterne e a conoscersi di conseguenza. Per esempio, quello che cerco di fare sono più esposizioni illegali possibili. Trovo un posto, lo occupo per la durata dell’esposizione, e poi lo lascio in modo da creare progetti che dialoghino con lo spazio. È come un happening. D’altro canto, credo che la più grande difficoltà sia di avere un posto in cui lavorare. Ho bisogno di esprimermi attraverso grandi sculture, per questo espongo all’aperto: i lavori cambiano colore nel corso del tempo. Questo è parte del mio lavoro, vedere le sculture evolversi e distruggersi con il passare del tempo. Ciononostante, dal momento che i prezzi a Parigi sono alti, continuare a vivere qui è una vera sfida».

BIO

1993
Nasce il 31 luglio a Parigi

2010
Espone in uno squat a Parigi Est

2012
Comincia a studiare all’ Arts Décoratifs a Parigi

2014
Comincia il suo primo progetto con un amico a Le Wonder, uno spazio d’arte collettivo a Parigi, dove continua a lavorare

2017
Espone la sua opera Réalité in una collettiva di giovani artisti alla Christophe Gaillard Gallery

Info: nelsonpernisco.com

PROGETTI FUTURI
Nelson attualmente sta stampando su delle lastre di alluminio da 100 x 80 cm delle foto in bianco e nero che ha preso dai libri di storia rappresentanti casi di iconoclastia, come persone che distruggono le statue dopo l’URSS o lavori d’arte moderna, o comunque foto che narrano un cambiamento politico. Ha deciso di rimodellare queste foto in modo che le statue siano sempre dritte. Secondo lui è un po’ come funziona la storia: dipende da come la vuoi vedere. L’idea per la nuova esposizione gli è venuta durante un viaggio in Georgia lo scorso anno, quello è un paese dove ogni cosa sembra bloccata tra costruzione e distruzione. Niente è davvero finito. Si è soffermato quindi sul concetto di monumento nello spazio espositivo e ha creato una piramide di luce abbastanza grande dove le fotografie saranno affisse tutte intorno. La mostra La decouverte de l’ignorance si è svolta a febbraio a Parigi.