(Criteri generali per la) messa in sicurezza

Bologna

Fino al 17 giugno negli spazi di Otto gallery a Bologna è visitabile la personale di Giovanni Termini: (Criteri generali per la) messa in sicurezza, curata da Simone Ciglia. Al decimo anniversario dalla scorsa personale nella galleria bolognese l’artista torna con un nuovo progetto site specific studiato per via D’Azeglio. Giovanni Terni opera dialogando costantemente con lo spazio, rivoluzionandolo e modificandone i caratteri tramite la scultura. Le opere di Termini invadono gli ambineti, coinvolgedo lo spettatore e alterandone le percezioni. Lo spazio espositivo si piega alla volontà dell’artista fino a diventare un tutt’uno con l’opera e chi la osserva.

La mostra a Otto Gallery raccoglie una serie inedita di opere recenti, nate da una riflessione sulla contemporaneità, seguendo una traiettoria che attraversa le nozioni di paura, pericolo e limite. Le opere in mostra raccontano la richerca artistica di Termini, fondata sull’impiego di materiali ordinari, spesso provenienti dal mondo del lavoro, spogliati della loro funzionalità e fatti rivivere in una dimensione poetica. Diversi sono i medium scelti dall’artista, come diverse sono le espressioni della sua poetica: sculture, piccoli oggetti e grandi installezioni. La sala centrale della galleria, ad esempio, ospita Limite in sicurezza, un’installazione ambientale che sopraeleva il piano della galleria a che lo spettatore è invitato a percorrere sperimentando una condizione di pericolo e precarietà. L’artista dimostra poi di avere anche una vene ludica accogliendo lo spettatore alla fine del percorso della mostra con l’opera Ipotesi, una scultura che rielabora un oggetto piuttosto comune, una sedia a sdraio da spiaggia. Esempio di design anonimo, la sdraio racconta ironicamente un certo aspetto della cultura italiana.
”Una natura duale, – scrive il curatore Simone Ciglia – anzi direi addirittura due persone diverse, sembrano animare il lavoro di Giovanni Termini. Una duplicità che si può riassumere in due topoi della cultura occidentale: homo faber e homo ludens. In apparente conflitto, questa diarchia non assume i contorni patologici della schizofrenia, ma riesce anzi a coesistere e a farsi tensione produttiva.”

 

 

Articoli correlati