Viaggio sentimentale

È stata l’unica artista italiana ad essere inserita dal Pompidou tra gli autori di spicco della Pop Art, insieme a nomi celebri e altisonanti dei colleghi americani. A Giosetta Fioroni Milano dedica fino al 26 agosto una grande antologica che racconta la sua arte e la sua vita e che riesce a contenere, con 160 opere presentate, l’arco della sua carriera. Un iter creativo durato quasi sessant’anni, articolato e intenso come può esserlo solo un viaggio, o per meglio dire, un Viaggio Sentimentale il titolo che i curatori Elettra Bottazzi e Flavio Arensi hanno deciso di dare all’evento milanese.

Dentro gli ambienti del Palazzo dell’Arengario, al Museo del Novecento che affaccia sulla Piazzetta Reale di Milano la cospicua esposizione di opere e documenti danno rilievo a un percorso artistico esemplare nell’ambito del palinsesto milanese dedicato al Novecento Italiano. L’arte della Fioroni si è affidata nel tempo a tecniche artistiche e media diversi tra loro, dalla fotografia alla poesia, dalla performance al video, all’uso del collage, riuscendo a dar forma nei tempi e nei modi a un’artista legata intimamente all’Arte Pop. Gli amici artisti degli esordi, con cui aveva condiviso l’esperienza della Biennale di Venezia del ’64 che consacrava il Pop in Italia, come Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Mimmo Rotella, Concetto Pozzati avevano con lei tracciato il loro percorso italiano sotto l’ala protettrice di Plinio De Martiis nella Galleria La Tartaruga in Piazza del Popolo a Roma. Negli anni precedenti La Tartaruga era stata la prima a presentare l’arte internazionale di Rothko, Kline, Twombly, De Kooning e adesso un gruppo di artisti italiani erano pronti a proseguire con un linguaggio proprio. Giosetta è una delle protagoniste assolute, personaggio chiave di questo momento romano, insieme artistico e letterario con Ninnì Pirandello, moglie di De Martiis e allo scrittore Goffredo Parise suo compagno, Ennio Flaiano, Federico Fellini. Lei dà anima con un fare e un coinvolgere del tutto passionario e creativo, richiama, influenza e riesce a portare nella galleria quasi tutte le arti che allora erano in grado di guardare al futuro.

È il momento del Teatro delle Mostre da lei ideato, che prevede una mostra al giorno trasformando di fatto la galleria in un laboratorio permanente. In mostra il ricordo di una lunga performance La spia ottica, realizzata nella galleria romana di Piazza del Popolo, ovvero una messa in scena con l’ausilio di un attrice di momenti quotidiani nella camera da letto della Fioroni. Per questo in quel fortunato ed eclettico ritrovo arrivano la poesia visiva, il teatro, i video, la performance, la fotografia. Utilizza spesso la macchina fotografica, il mezzo fotografico è un mero ausilio, ma prepotente e diretto, visibile nella prima saletta della mostra milanese con le Diapositive del Sentimento. Sul richiamo di queste sperimentazioni la visione delle grandi opere pittoriche in mostra lasciano capire il senso della sua crescita ed evoluzione artistica, concettuale e sintetica negli anni ’70 e più figurativa nei decenni successivi, quando la Fioroni torna al disegno e alla figura sulla scia della Transavanguardia di Mimmo Paladino, Enzo Cucchi, Francesco Clemente.

E la carica narrativa si riassume e si collega tra un’opera e l’altra attraverso motivi ripetuti, piccole icone, come la scala, la casetta o il cuore moltiplicato e diversificato in tanti colori e fatture. Iconografie elementari, nominali, colme del sentimento autentico che l’artista portava in ogni creazione artistica come creatura spiritualmente legata al resto dell’umanità e che ha potuto sostenerla e distinguerla in una possibile confronto con l’Arte Pop americana. Quando infatti il suo sentimento di donna e compagna subisce un cambiamento si trasforma drasticamente anche la sua arte.

Dopo la morte nel 1986 del compagno Goffredo Parise forme e colori assumono un tono quieto, statico, esiziale. Nell’arte si legge l’esistenza di un’artista che ha attraversato l’esplosione della Pop Art senza diventarne un’indistinta adepta e che ha attraversato il femminismo più acuto ed estremo senza vestirlo come una cieca fede, ma sostenendolo con grazia. Nell’ultima sala un ritratto di Marilyn Manson trasfigurato con scanzonata leggerezza in un volto grottesco e decisamente divertente, del tutto lontano dalle atmosfere dark che lo contraddistinguono. Sono gli anni 2000 e il solito approccio sentimentale e libero continua a dare energia e vigore alle opere di una grande protagonista della nostra arte.

Fino al 26 agosto; Museo del Novecento, Via Guglielmo Marconi 1, Milano; info: www.museodelnovecento.org