Patrik Thomas

Direttamente dalle nostre pagine del giornale vi proponiamo un articolo pubblicato sul numero 112.

Il giovane artista e regista Patrik Thomas, finalista del Talent Prize 2017, con la sua video installazione Hotel Desterro, racconta dell’incredibile storia nascosta dietro alla sua opera: The random collective, la scoperta di un vecchio cortile e il viaggio da Lisbona all’Africa Occidentale. La sua vita e il suo lavoro incoraggiano all’apertura verso nuovi orizzonti, a trovare nuove possibilità e, soprattutto, a capire che la vita è diversa e più ricca di quello che esiste nella comfort-zone di ogni giorno.

Hai vissuto a Lisbona per un pò, fondato The random collective e realizzato Hotel Desterro. Che relazione intercorre tra questi progetti?
«Ho tentato di studiare a Lisbona, ma l’Accademia di Belle arti mi sembrava conservatrice e di vecchio stampo e, guardando indietro, l’intero sistema educativo non andava bene per me, cosa che alla fine si è rivelata positiva, perché mi ha motivato a fare qualcosa autonomamente e a proporre un’idea diversa di pratica artistica. Così ho fondato un collettivo, The random collective. Abbiamo deciso di concentrarci sui film, siamo tutti registi ma di formazione varia: belle arti, antropologia, etnologia e filosofia. Sperimentiamo tecniche di insegnamento attraverso la pratica per fornire alternative all’educazione universitaria, frontale e gerarchica».

Come nasce l’idea di Hotel Desterro?
«Il collettivo organizza ogni anno da quattro anni un festival, Movimento. È come una lunga residenza di produzione, dove invitiamo cineasti, artisti, musicisti, attori da tutto il mondo per fare film insieme in maniera totalmente collaborativa e senza grande impiego di denaro. Hotel Desterro è nato durante questo film festival. Nel 2015, insieme al mio partner artistico Sebastião Braga, abbiamo scoperto questo cortile di un’ex fabbrica di ceramica, dove abbiamo trovato persone con una visione molto nostalgica del colonialismo portoghese. Sembrava di essere negli anni ’70, perché la guerra per l’indipendenza delle colonie portoghesi in cui erano stati coinvolti risale a quegli anni. All’inizio volevamo fare un film su Césario, clochard e combattente colonialista nato in Angola. In un secondo momento abbiamo realizzato che tutte le altre persone che vivevano lì avevano storie incredibili, come questo ragazzo che era il cantante del gruppo Super Mama, Djombo, che aveva fornito la colonna sonora dell’indipendenza della Guinea-Bissau. Abbiamo anche trovato un vecchio scuolabus in vendita, ma il proprietario ci ha detto di usarlo per il nostro film, di migrare fino all’Africa Occidentale attraverso il Sahara Occidentale e di parlare con le persone del posto. Abbiamo accettato e trasformato l’autobus in una sorta di palcoscenico: abbiamo invitato musicisti lungo tutto il tragitto per suonare concerti e artisti per dipingere l’autobus. Per questo nel film ritorna il bus che alla fine continua la sua vita in Africa».

Da dove viene il titolo del film?
«Nel 2016 questa ex-fabbrica sarebbe stata distrutta per costruirci un hotel, Hotel Desterro. Questo è un problema recente di Lisbona: tutto viene distrutto per lasciar posto a nuovi hotel a causa della gentrificazione. Césario e gli altri sarebbero tornati in mezzo a una strada. Ad aprile sono andato là e ho girato con loro ogni giorno per tre mesi a Lisbona e poi a giugno siamo partiti per l’Africa con l’autobus fino alla fine di luglio».

Che meraviglia, raccontaci del viaggio.
«Volevamo andare con molti amici dell’Africa occidentale che vivevano lì nel cortile, ma alla fine non hanno ottenuto un visto dal Marocco a causa di un recente indurimento delle politiche di rilascio. Ci siamo ritrovati con ciò che di certo non volevamo, essere solo persone bianche a guidare l’autobus giù fino all’Africa Occidentale. Comunque, siamo stati imprigionati due volte al confine con il Senegal a causa di faccende burocratiche. Pensiamo sempre agli africani e alle loro difficoltà lungo la via per il Nord, su queste rotte migratorie, ma abbiamo incontrato molte complicazioni andando verso Sud, perché i confini implicano sempre delle difficoltà. La differenza è questa: quando hai un passaporto europeo tutto è possibile, basta pagare. C’è una grande differenza di dignità e siamo lontani dall’uguaglianza. Il film ha superato il budget previsto per questo motivo, abbiamo pagato circa 2.500 euro solo per passare i confini».

In questo viaggio hai ritrovato molte persone, ma come avvenivano questi incontri?
«Le persone del cortile ci davano i contatti. Tutti stavano già parlando di questo scuolabus e nel nostro viaggio invitavamo chiunque avesse qualcosa da dire, una canzone, un messaggio per questo film, a salire e a contribuire. Era il nostro atelier, come fosse un piccolo teatro ambulante. Abbiamo potuto accogliere bambini delle scuole, gruppi musicali, artisti. Era davvero una piattaforma aperta con la musica come fulcro. Nel film un ragazzo dice che la musica non ha confini o frontiere. Questo è ciò che sentivamo anche noi e questa è la cosa bella del film: a un certo punto non si capisce dove sia ambientata la scena perché la musica portoghese è influenzata da quella africana da secoli. Non ci si chiede più: siamo in Europa? siamo in Africa? Non importa, è un luogo unico».

Finzione e realtà sembrano strettamente connesse nel film: dove finisce l’una e inizia l’altra?
«Non c’è finzione piuttosto una ricostruzione. Ho cercato di rendere i confini tra finzione e documentario più fluidi. Categorizzare è troppo restrittivo e vorrei che il pubblico fosse più curioso. Césario non è mai stato così in quel posto, per cui abbiamo dovuto inscenarlo insieme all’intera ambientazione, ma una base di autenticità rimane sempre. Per questo non posso più dividere le due cose».

Essere artista all’interno di un collettivo è abbastanza diverso dall’artista star prodotto dal sistema dell’arte contemporanea. Quale tipo di profilo ti si addice di più?
«Penso qualcosa fra i due. In termini di produzione artistica credo fermamente nella collaborazione, mentre diffido dalla visione dell’artista star. Lavoro per la democratizzazione della produzione e distribuzione dell’arte. Mi piacciono la ricerca sana, i temi profondi e i nuovi approcci, tutto ciò che possa sorprendere. Movimento esiste per aggiungere una nuova possibilità per i registi in modo che chiunque possa partecipare. Questo è come voglio vedere la mia personalità di artista. Mi vedo molto di più come un facilitatore che trascina più persone verso l’arte e stati sperimentali del vivere, dove produci e sei creativo invece di consumare soltanto».

Quali sono i tuoi piani attuali e futuri?
«Come sempre sto lavorando su varie cose allo stesso tempo. Una cosa molto importante per me è riportare Hotel Desterro alla comunità in Guinea-Bissau, Senegal e Mauritania. Spero che l’autobus sia ancora lì e funzionante per iniziare un viaggio di andata e ritorno con il cinema autogestito del posto, dove proietteremo il film. The random collective sta lavorando alla sua prima pubblicazione sul cinema collaborativo e forme alternative di educazione. Stiamo sperimentando diversi formati dei laboratori di Movimento, magari anche uno trasnazionale, ma è difficile, l’organizzazione richiede tempo e soprattutto denaro. Sto lavorando a una nuova video installazione sul tema del lavoro e al momento sono in Georgia per fare ricerca, ma non posso dire ancora molto al riguardo, è ancora in fase iniziale.

BIO

1988
Nasce il 23 luglio a Bad Homburg

2011
A Bamako, Mali, conosce il regista Souleymane Cissé e Les jeunes Talents de Ucecao, incontro che lo apre a una visione non competitiva e collaborativa della produzione artistica

2012
Partecipa a diverse residenze mentre ricerca altre forme di produzione filmica e artistica, tra le quali una delle più importanti è la Migrating Art Academy di Tallin e Helsinki e grazie a un incontro con Julian Rosefeldt, comincia a studare all’Academy of Fine Arts di Monaco, dove fa esperienza di un programma di studi libero e aperto

2013
Fonda The random collective e il festival Movimento

2016
Esegue un ritratto di un vecchio cortile e dei suoi abitanti nel centro di Lisbona, dove trova un vecchio scuolabus e la possibilità di viaggiare attraverso il Sahara occidentale fino alla Guinea-Bissau

HOTEL DESTERRO
Hotel Desterro è un’installazione composta da due video da 45 minuti su doppio schermo, insieme ad altri oggetti e materiali che variano in base alla grandezza dello spazio espositivo. Viene preparato in maniera diversa per ogni mostra, con materiali riciclati e ritrovati nel luogo. Il progetto tratta delle memorie coloniali tra Europa e Africa connesse all’arte dell’Africa Occidentale. Parte dal cortile di un’ex fabbrica di ceramica nel centro di Lisbona, con la telecamera che svela la vita dei suoi abitanti, e continua con un viaggio in autobus dal Portogallo all’Africa Occidentale. Attraverso una narrativa non lineare, il lavoro lascia che la problematica coloniale si sovrapponga in maniera naturale alle attuali rotte migratorie, superando la classica distinzione tra documentario e fiction. La musica è il leitmotiv fisico e simbolico che consente alle persone di incontrarsi, condividere e comunicare. In un mondo in cui i confini sono sempre di più al centro del dibattito politico, economico e culturale e in cui influenzano profondamente la vita di masse di popolazione, Hotel Desterro mette in discussione il loro ruolo e apre la via a nuove possibilità e rinnovate, magari ormai perse, speranze.