Simona Andrioletti

È un lunedì mattina di ottobre. Simona Andrioletti su Skype siede dietro la sua scrivania bianca; alle sue spalle una finestra che affaccia su Monaco di Baviera, accostato al muro un involucro di cartone, sigillato con del nastro adesivo giallo e nero. Sorride Simona, dietro grandi occhiali da vista e treccine lunghissime. Iniziamo a parlare subito di Belvedere, l’opera che le ha consentito, per il secondo anno consecutivo, di accedere alla finale del Talent Prize. Sarà un’intervista lunga perché Simona è in partenza per la Georgia. «Belvedere – comincia – è un’opera che parte dall’osservazione del Torso del Belvedere, una scultura in marmo mutila del I sec. a.C. firmata dallo scultore greco Apollonio e oggi conservata ai Musei Vaticani. Di questa statua non si conoscono precisamente né l’anno, né il luogo del ritrovamento. Considerando le numerose interpretazioni nelle quali si ipotizza chi fosse questa figura maschile, ho pensato a una possibile posizione degli arti mancanti dell’antica statua greca, più precisamente al chiasmo tra il braccio destro e la gamba sinistra».

Dicci di più del lavoro.
«Il titolo Belvedere è un frammento del titolo Torso del Belvedere così come gli arti mostrati sono i frammenti, persi nel tempo, della scultura greca. Non era mia intenzione completare l’antico torso ed è per questa ragione che non sono stati riprodotti tutti gli arti mancanti. I basamenti che reggono le due sculture hanno un’altezza tale che permette alle stesse di raggiungere il punto in cui, al torso greco, nell’odierna presentazione ai Musei Vaticani, mancano gli arti. Il mio interesse è rivolto a restituire alcuni elementi della scultura greca e collocarli nell’esatta posizione in cui l’attuale opera ne è priva così da poterne immaginare l’originale. Mi ha sempre affascinato, guardando delle rovine, immaginare come queste apparissero prima di subire la “trasformazione”. Mi interessa innescare un processo immaginifico nella mente del fruitore che può vedere nel vuoto l’antico marmo. Fondamentalmente per me il lavoro è lo spazio vuoto tra i due elementi e la riproduzione dei due arti solo il pretesto per innescare il processo immaginifico».

Qual è stata la metodologia per arrivare a Belvedere?
«L’opera è stata sponsorizzata da Tebis Ag, azienda tedesca fornitrice di tecnologie software e soluzioni di processo ad alta efficienza per la produzione di stampe e modelli. Ho presentato loro il progetto e sono stati entusiasti di collaborare con un’artista. Ho in seguito contattato Antonio Melieni, campione di body building nella categoria Juniores dello stato tedesco Baviera, siamo stati nell’azienda dove un team di tecnici ha scansionato i suoi arti in modo che potessimo avere un file stl da stampare tridimensionalmente. È stato un lavoro complesso. Dopo la scansionometria, un team di ingegneri ha lavorato per ottimizzare la nuvola di punti, creata dal laser, per ottenere un modello il più fedele possibile alla realtà».

Nella tua ricerca artistica sembra essere frequente la collaborazione con figure non coinvolte nel mondo dell’arte.
«Sì questa pratica sta diventando abbastanza frequente nella mia produzione artistica anche se non si limita solo a questo. Trovo molto stimolante questo genere di collaborazioni, mi aprono verso mondi a me totalmente sconosciuti. Le persone che coinvolgo diventano, a livello formale, determinanti nella riuscita stessa dell’opera; è il corpo del bodybuilder Antonio Melieni a dare forma a Belvedere, in un altro mio lavoro, Summit, è l’alpinista Silvio Mondinelli a tracciare, filtrato dalla propria memoria, il perimetro della cima del monte Everest».

Summit era il lavoro finalista al Talent Prize dello scorso anno. Di cosa tratta?
Nasce dalla collaborazione con l’alpinista Silvio Mondinelli, sesto alpinista al mondo ad aver scalato tutti e quattordici gli ottomila della catena Himalayana senza l’aiuto dell’ossigeno, raggiungendo la vetta dell’Everest quattro volte. A lui ho chiesto di ripercorrere mnemonicamente lo spazio della vetta: il punto più alto del mondo. Ne ha tracciato il perimetro in scala 1:1 su un foglio, che ho poi utilizzato da dima per realizzare una base in marmo delle stesse dimensioni. Tutti i segni e le scritte del disegno originale sono state incise nel marmo per restituire, nel modo più fedele possibile, il disegno e i ricordi dell’alpinista. L’idea era quella di conferire a questo luogo, ai più inarrivabile, un aspetto e un’aurea di sacralità, come uno spazio religioso da contemplare esaltandone il valore attraverso il marmo, materiale spesso utilizzato per la realizzazione degli altari. In questo modo, anche se la cima dell’Everest non ci è concessa realmente, diventa uno spazio al quale accedere spiritualmente».

Quali sono gli obiettivi delle tue opere?
«Nel mio lavoro esiste una volontà di avvicinare, innescando un processo immaginifico, punti irraggiungibili, elementi perduti, il lontano. Prendo ancora per esempio Belvedere e Summit di cui abbiamo già parlato. Il punto più alto del mondo, la cima del monte Everest è appoggiato sul pavimento, alla portata di tutti così che il fruitore possa sperimentare la dimensione di un luogo irraggiungibile, una sorta di base magica che vuole annullare una distanza di 8848 metri. Anche se la cima dell’Everest rimane negata, l’opera rende abitabile quello spazio. Gli arti perduti del Torso del Belvedere sono di fronte a noi, e grazie ad essi, immaginiamo l’originale che potrebbe stare tra i due arti».

Progetti futuri?
«Il prossimo progetto, dal titolo Google it! sarà realizzato in collaborazione con alcuni licei italiani. Ho trovato su YouTube un video in cui uno pseudo giornalista intervista dei ragazzi per strada a Roma chiedendo loro chi fosse Pasolini. Quasi nessuno lo conosceva. Il lavoro parte da alcune riflessioni sull’orazione di Moravia ai funerali di Pasolini, sul video di YouTube e da una lettera scritta da Umberto Eco al nipote adolescente al quale spiega l’importanza di allenare la memoria e del sapere. Nella lettera Eco pone al nipote delle domande con le quali vuole far prendere loro coscienza della vastità del sapere. Il progetto inizierà proprio con un workshop da sviluppare con i ragazzi del liceo sull’importanza di allenare e preservare la memoria. Ai ragazzi sarà chiesto di formulare delle domande riguardanti argomenti per loro fondamentali. Le domande saranno poi verniciate, utilizzando degli spray e degli stencil, insieme agli studenti nel cortile del liceo e in altri punti della città. A gennaio 2018, invece, presento I shot Mercury to do this exhibition, mostra collettiva a cura di Claudia Contu nella galleria Nir Altman a Monaco di Baviera».

BIO
1990
Nasce il 23 agosto a Bergamo
2012
La sua prima mostra è L’intimità dell’immagine come luogo in comune, curata da Gianni Caravaggio e inserita nel programma Academy Awards in ViaFarini a Milano
2013
Partecipa alla collettiva Incontro, curata da Gianni Caravaggio e Bernhard Rüdiger al Réféctoire des Nonnes di Lione
2015
Inizia gli studi all’Adbk(Akademie der Bildenden Künste München) nella classe di Gregor Schneider. È invitata alla collettiva Delta15, nel complesso di Waterworks Falkenstein ad Amburgo. È l’anno della prima edizione di Residenza d’artista Carloforte, un programma annuale per artisti ideato e curato dall’artista con Alessandro Mazzatorta, sull’isola di San Pietro in Sardegna
2016
Prime mostre personali: …And there was evening and there was morning ospitata nella galleria milanese Twenty14Contemporary, I cannot tell you that summer is gone ospitata da Raum49 Offspace, a Monaco di Baviera

TORSO DEL BELVEDERE
Il Torso del Belvedere è una scultura mutila in marmo del I sec. a.C. firmata dallo sculture greco Apollonio, oggi conservata ai Musei Vaticani e della quale si ignorano l’anno e il luogo di ritrovamento. Attraverso la collaborazione con Antonio Melieni, campione di Body building nella categoria Juniores dello stato tedesco Baviera, Simona Andrioletti ha pensato a una possibile posizione degli arti mancanti dell’antica statua greca, più precisamente al chiasmo tra il braccio destro e la gamba sinistra. Il body builder Melieni, ha prestato il suo corpo che è stato prima scansionato da uno scanner 3D e poi stampato 3D in Pla Plastic. I basamenti che reggono i due arti hanno un’altezza tale che permette agli stessi di raggiungere il punto in cui, al torso greco, nell’odierna presentazione ai Musei Vaticani, mancano gli arti.