Dispositivi per non vedere bene Roma

L’obiettivo della macchina fotografica cattura la realtà, incornicia un momento dal reale per restituirlo nella sua oggettività. Fotografare Roma equivale a costruire cartoline, immagini già viste e presenti nell’immaginario comune. Eppure l’obiettivo può raggiungere altri angoli nascosti, può rubare particolari che gli occhi pigri erano diventati inabili a intercettare. Dispositivi per non vedere bene Roma è un racconto corale, un’interpretazione collettiva fatta tra colleghi e amici, un coro di voci che riempiono lo spazio della galleria Matèria stavolta interamente dedicata a un unico artista, riuscendo a raccontare tutte le declinazioni di Giuseppe De Mattia passando attraverso ciò che altri sono riusciti a mettere in risalto del suo modo di fare arte.

Dispositivi per non vedere bene Roma è un grande paradosso intrinseco di senso, nato dal tentativo di mettere in risalto quella stratificazione secondaria, lo sfondo che fa da contorno a un soggetto, un modo di guardare offuscato che restituisce una lettura della città, in fondo, ricca d’amore. Un’attenzione che volge lo sguardo alla precarietà che sta al di là della concreta certezza della sua bellezza, che stravolge quel comodo – forse troppo – modo di guardare accontentandosi, nascosti dietro l’idea che la Storia possa giustificare la ricchezza su cui poggia la vecchia Capitale del globo. Eppure dietro quella fama che ha superato i secoli arrivando sino ai giorni nostri, Roma è anche quella Lupa nascosta dietro il vetro appannato di quel Dispositivo – che ricorda il primo realizzato nel 2014 -, una lastra posta davanti a uno dei simboli più famosi della romanità, che traduce immediatamente il senso di questo processo: smettere di guardare ciò che è facile, ciò che è già pronto in superficie e provare a osservare Roma con occhi che lasciano individuare altro.

Eccola allora la Roma fatta di palme che emergono dalla pittura che cancella, nate dal dialogo con l’artista Luca Coclite o la Piramide Cestia che svetta come un’intrusa nell’affollato passaggio dei tram e qui tradotta in perfetto elemento geometrico sul suo sfondo giallo pensato con l’artista Stefano Canto; o ancora le diapositive degli scatti di Fabio Barile mentre riprende De Mattia nell’azione di realizzare i suoi Disegni segreti davanti al Bar della Pace, nascosti poi in lunghi tubi metallici pensate con la curatrice Chiara Argentino. In bilico tra i fasti gloriosi del passato – quei simboli della città nascosti persino sul tetto in plastica che copre il cortile dello spazio espositivo e pensati con il gallerista Niccolò Fano – e quel fumo della curva Sud che emerge dal nero che nasconde le bandiere in lontananza, i Dispotivi di De Mattia sono chiavi di lettura per rendersi consapevoli, capaci di guardare ”soli contro tutti” come sono gli artisti in questo mondo, come recitano le parole del critico Luca Panaro, capaci di cogliere quelle tracce che «rimangono [..], a testimoniare lo sguardo», capaci di individuare ancora, in questo odierno affollato brusio di immagini, la parola Sogno, che saluta l’ultimo Re di Roma e riporta improvvisamente con i piedi per terra, a rendere tutto un po’ più chiaro.

Fino al 18 novembre; Matèria gallery, via Tiburtina 149, Roma; info: www.materiagallery.com

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