La forza dirompente degli scatti della Fondazione Mast

”Gli archivi sono giganti silenziosi. Si svegliano e cominciano a parlare se poniamo loro domande dirette, se li scuotiamo dal torpore grazie a determinate prospettive, a punti di vista particolari, o li rendiamo vivi con il nostro interesse, riportando il loro potenziale nel presente. Con le collezioni non è molto diverso, anche se in questo  caso la selezione è accompagnata sin dall’inizio da una determinata volontà, un’idea, un interrogativo. Solo quando attingiamo con gli occhi e con la mente al fondo iconografico del passato, quando stabiliamo delle connessioni, quando leghiamo il presente a ciò che è stato, la produzione al consumo, l’uomo alla macchina, la fabbrica alla  società, ecco accendersi la scintilla: gli archivi e le collezioni cominciano a raccontare, svelano i loro tesori, consegnano informazioni, entusiasmano con gli universi visivi che custodiscono.”

Così il curatore svizzero Urs Stahel racconta il suo lavoro lungo quasi 5 anni. Oltre 100 scatti dagli anni ’20 ad oggi, 67 autori, selezionati attentamente dalla collezione fotografica della Fondazione Mast, raccolti in una mostra intensa dal titolo La Forza delle Immagini. Immagini, appunto, che rivelano il potere espressivo del linguaggio fotografico nelle sue innumerevoli sfumature. Segmenti che scandiscono un percorso a spirale e accompagnano in un viaggio temporale nel regno della produzione e del consumo, impressioni sull’ industria, sulla digitalizzazione e sulla società, rivelando la sorprendente ricchezza dell’universo iconografico del lavoro e della fabbrica. Un’esposizione che mette a fuoco gli ambienti che caratterizzano il sistema industriale e tecnologico, toccando questioni chiave di natura economica, sociale e politica, ma più che i fatti le immagini cercano di raffigurare nessi e riferimenti articolati, profondi, presentando all’osservatore realtà complesse, che determinano un coinvolgimento emotivo e sensoriale. Ciminiere, turbine, stabilimenti industriali abbandonati e operai a lavoro, scatti in bianco e nero intervallati dai più recenti a colori. Racconti profondi e personali, occhi aperti sulla società e il mondo del lavoro senza lasciare nulla al caso. Come accade con le parole nella letteratura, anche nella fotografia, c’è chi è riuscito con poco, un unico scatto a racchiudere ogni cosa, e chi invece ha sentito il bisogno di più sguardi, addirittura 500 diversi o in disparati momenti della giornata, per raccontare qualcosa.

”Le fotografie infatti possono fare molto più che definire, descrivere.  Sono incisive, sviluppano forze d’irradiazione, penetrano sotto la pelle, si insinuano dentro di noi anche emotivamente, comunicando non un messaggio univoco, bensì due, tre, quattro concetti diversi e paralleli.  Si tratta dei cosiddetti messaggi connotativi, che possono avere sfumature simboliche o metaforiche, da leggere e comprendere a livello figurativo. Oppure si tratta di quegli stimoli che, come la musica, agiscono in modo diretto e immediato sulle nostre sensazioni”.