Intervista con Alek O.

Un volo ha portato Alek O. dall’Argentina in Italia, un viaggio fisico e mentale che ha radicato nel più profondo lo spirito mai assopito dell’arte. Sembra un inno al riciclaggio, ma non è solo questo. L’artista si dedica al riuso di oggetti altrimenti destinati a essere immondizia. «Penso di avere un debole per le cose raccolte in strada, ad esempio i beach combers o, come dicono gli uruguaiani, i bichicomes. Così porto a casa guanti persi, ombrelli rotti, monetine, per poi trasformarli. Il nucleo del mio lavoro sta nel materiale. È il trait d’union fra l’oggetto che è stato e l’opera che sarà, voglio che i segni rimasti sulla superficie raccontino un po’ della loro storia passata». E nelle opere spesso la geometria sale sul podio: «Quando disfo dei guanti fino a farli ritornare filo – spiega l’artista – la quantità di materiale ottenuto vincola il ricamo che andrò a realizzare. Ogni campo di colore corrisponde a un solo guanto. Affiancandone uno a un altro, nasce la composizione, guidata da una griglia. Il risultato – continua – è di una geometria imprecisa, dove le linee parallele sono approssimative e gli angoli smussati. In qualche modo tento di dare un nuovo status a degli oggetti riordinando i loro materiali. Per farlo, la geometria è il mio mezzo prediletto, mai il fine». Anche il colore è una componente legata al prodotto originario, inscindibile come una sorta di anima: «La natura dell’oggetto di partenza – dice Alek O. – determina il colore o i colori dell’opera, così come ne determina la composizione».

L’oggetto è studiato in modo ameno, persino nel quotidiano: «Qualche anno fa – racconta – ero al supermercato e c’era una marmellata nella zona delle gomme da masticare. È rimasta lì per qualche settimana. Oggetti che hanno una presenza mentale molto forte. Questa attenzione credo sia un pensiero che condivido con chi è patito dell’ordine, solo che io non lo sono». Il consumismo ci ha portato a vivere di usa e getta mentre in passato, riutilizzare e aggiustare era quasi una forma d’arte, e Alek O. non è indifferente a ciò. «Forse c’è un cambiamento in corso, con un consumo più mirato, più attento ed esigente, dove si torna a desiderare cose di maggior valore che durino nel tempo. Ma ho paura di essere solo ottimista». Anche se sono molti gli artisti che nonostante difficoltà economiche continuano la propria carriera: «vivere di quello che fai è spesso, come in tante professioni, la condizione necessaria per continuare a farlo bene. Se non ci riesci, prima o poi farai probabilmente altro. Pochi possono vivere di rendita e sono ancora meno quelli pronti a vivere in povertà. La condizione precaria dell’artista viene ancora associata a qualcosa di romantico o speciale; ma questa difficile realtà non è meno dolorosa che in una qualsiasi altra professione». 

BIO
1981
Nasce a Buenos Aires il 24 luglio Vive e lavora a Milano Born in Buenos Aires
2001
Si trasferisce in Italia, scelta che influenza il suo percorso artistico
2004
Dopo aver studiato design, frequenta Isola art center, dove acquisisce basi formative
2009
Realizza il primo ricamo, fatto con i fili di un suo maglione: l’inizio di una nuova serie di lavori
2015
Espone in varie collettive fra cui The way we make art, al BeatTricks di Milano e Alek O. and James Viscardi al Carl Kostyál di Stoccolma 

PROGETTI
Nel 2016 Alek O. ha preso parte alla sedicesima Quadriennale nella sezione La seconda volta a cura di Cristiana Perrella. Nell’ambito della rassegna romana si è anche aggiudicata una menzione speciale della giuria per l’opera E già mattino. Dal 13 marzo fino al 16 maggio la galleria romana Frutta espone la personale di Alek O. La rassegna, dal titolo L’impero delle luci, presenta al pubblico una serie di nuovi lavori. Info: www.fruttagallery.com, www.facebook.com