The Art Life

Esterno notte. David Lynch con quello che rimane di una sigaretta si avvicina al microfono. Parla. Le parole si trasformano in racconto e il racconto in vita. È una delle prime scene di The Art Life, il film documentario girato da Rick Barnes, Jon Nguyen e Olivia Neergaard-Holm che getta luce su un’attività poco indagata del regista: la sua pittura. Distribuito in Italia da Wanted cinema e nelle sale il 20 febbraio il lavoro è una perla preziosa per gli amanti dell’autore e del cinema in generale. È lo stesso regista a parlare come unica voce narrante della sua vita passata prima che dietro una cinepresa davanti a una tela. Si scopre così il grande sogno del giovane Lynch: fare il pittore. Si sposta di città in città, vive un’esistenza da bohémien, si sposa e ha una figlia. Il film finisce dove inizia la sua carriera di regista. In un miscuglio di passato e presente il lungometraggio intreccia materiali d’archivio inediti, dipinti, fotografie e riprese del regista intento a dipingere nel suo studio sulle colline hollywoodiane. Un lavoro costruito su continui rimandi, fondato su un passato che non passa ma ritorna a ispirare il presente. Ma come è nata l’idea di fare un film su Lynch pittore? «Ci siamo focalizzati – dice Jon Nguyen, uno dei registi del film – sul primo periodo dell’autore perché crediamo che la chiave per capire i suoi film sia nascosta nella sua vita personale. La sua arte, così, invece che il suo cinema, è diventata l’oggetto del lavoro. Prima che regista, Lynch infatti è stato un pittore ed è così che ha cominciato la sua vita artistica per poi cambiare linguaggio lungo la strada».

Quale influenza ha avuto l’arte nella definizione della sua produzione cinematografica e dei suoi personaggi?
«Moltissima, soprattutto nell’approccio alla composizione cinematografica e alla mise en scene. I protagonisti che troviamo nei suoi dipinti poi sono gli stessi che prendono vita nei suoi film».

Sembra dal documentario che la passione per la pittura di Lynch sia nata da una privazione infantile: la madre che non voleva compragli un album da colorare.
«Sì e credo che gli abbia regalato un’enorme libertà creativa nell’esplorare l’arte. Il padre, ricercatore scientifico, lo ha introdotto al tema dei fenomeni organici, il regista subisce il fascino della decadenza e delle strutture presenti in natura, caratteristiche che ritroviamo direttamente nella sua arte».

Lynch per tutto il film è l’unico narratore. Come mai questa scelta?
«Volevamo che il lavoro fosse il più personale possibile, così ci siamo fatti da parte lasciando campo libero a Lynch per raccontare la sua storia in prima persona. Una scelta che crea un’atmosfera più intima che forse si sarebbe rotta con l’intromissione di altre voci».

Il film è il risultato di un lungo periodo passato con il regista. Questa vicinanza ha cambiato il tuo modo di vedere l’approccio di Lynch all’arte?
«Ho imparato ad apprezzare l’attenzione che Lynch riserva alla pittura e all’espressione. Una sorta di forte e inflessibile integrità».

In questo senso quanto è stato difficile capire e trasmettere la sua poetica al pubblico?
«Tutta la narrazione, gli 8 mm, i dipinti e le foto, tolte 4 immagini, sono di Lynch. L’intero film è costruito su elementi provenienti direttamente dal regista. Anche nella colonna sonora ci sono molte sue canzoni. Crediamo che le parole e i lavori di Lynch trasmettano la sua poetica molto meglio di ogni altro materiale proveniente fuori dal suo mondo».

La dimensione temporale è fondamentale nel film. Come hai scelto il materiale d’archivio riuscendo a fondere passato e presente in maniera così intensa?
«Se un dipinto o un’immagine ci colpivano e contemporaneamente entravano in risonanza con la narrazione di Lynch, li usavamo. Mostrare il regista così come è adesso, nel suo atelier ci ha permesso di costruire un ponte fra il presente e il suo passato di artista. Da quando si alza fino a quando va a letto, trascorre il suo tempo dentro lo studio, la sua creatività sembra illimitata e speriamo di averne dato una buona testimonianza».

Lynch dice all’inizio del film: «Il passato è sempre presente». Come pensi che questa temporalità abbia influenzato il suo modo di girare film e come ha influenzato i tuoi?
«Siamo tutti influenzati dal modo in cui viviamo, le persone che incontriamo, le storia che ci raccontiamo e i problemi che abbiamo superato. Il pozzo dell’ispirazione è ampio e profondo e per alcuni si insinua nelle tele e nei film realizzati».

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