Ext. – Int.

”Il cinema è questione di cosa è nell’inquadratura e cosa è fuori”. Con questa citazione di Martin Scorsese si apre il libro fotografico Ext. – Int. dell’olandese Raimond Wouda, artista di fama internazionale che ripensa al valore del film in quanto opera d’arte e ne immagina uno sconfinamento fuori dal frame fotografico. Così, tra il 2008 e il 2013, decide di visitare i set di alcune produzioni cinematografiche recitate in lingua olandese, nello specifico nel Belgio e nei Paesi Bassi. Con una camera di grande formato, seleziona e organizza i suoi scatti svelando un insospettato valore aggiunto visivo, basato sul concetto della sottrazione, cioè di quanto sia stato volutamente tolto, nella sua ripresa fotografica, rispetto all’originale scena del set. Raimond fiuta alcuni luoghi del cinema, pastorali e benevoli, tutto sommato convincenti. Il risultato è una raccolta di documenti fasulli ma che ricreano un mondo naturale virtuale che allude al dialogo metaforico tra illusione, cultura, tecnologia e immaginazione. Le strane illustrazioni sottolineano l’eloquente intenzione dell’autore di parlarci della rappresentazione del film, che non dipende più dall’esperienza diretta ma dalla reinterpretazione della scena, e delle scene possibili.

Con una forte componente di tipo transculturale, alimentata dai codici visivi, musicali e televisivi (tutti strettamente alleati) Raimond esemplifica e comunica con l’alfabeto giusto, e la sintassi visuale è quella di un nuovo montaggio, una sintesi ”sporca”, del tutto. Raimond organizza l’equivalente dell’esperienza del telecomando costruendo il suo personale Blob televisivo, rivedendo il testo e disintegrandolo nell’opera aperta come la voleva Eco, inventa quindi il suo testo sempre transitorio. Qui l’emotività trasmigra da un set all’altro e toglie al cinema un po’ di aura di certezza, con una rete di enigmi e rebus visivi ormai manifesti: ci si può accertare di come sia appesa la luna (Scene 17, Dolfje Weerwolfje, Brugge) o come stare in piedi su un lago (Scene 50b, Majesteit, Wijnegem). L’esito è una controllatissima serie di rettangoli ammiccanti ma gommosi se si pensa che sono così attivati come dispositivi per il ripensamento della visione e dell’apparenza in generale, facendoci dubitare – alla Platone – di ciò che viene percepito dagli occhi ma che i sensi non accettano supinamente. In quest’ambiguità l’autore stana gli spazi del cinema e li converte in stanze del cinema: seleziona e taglia abbondantemente, producendo delle schegge ma spalancando tuttavia le innumerevoli porte, o passaggi, alle immagini della fiction con un’ulteriore messa in scena della spettacolarizzazione, il sopraggiunto the end.

E se il lettore onnivoro vuole saperne di più del libro selezionato per il Best Dutch Book Designs del 2015, come in un autentico noir postmoderno, oltre alle tracce dei film in questione (puntualmente citati a piè di ciascuna foto), esiste una simpatica e gratuita App.(Layar / Android o Iphone), con cui si possono infine vedere le scene dei film con lo smartphone. Una strizzata d’occhio dopo tanto guizzo metaforico.

Info: http://raimondwouda.com

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