Intervista con Priscilla Tea

Roma

Un mese di artisti. Ogni settimana, dal 1 agosto al 5 settembre, tre interviste per presentarvi alcuni protagonisti della scena nazionale e internazionale. Buona lettura.

”L’incidenza di queste trasformazioni tecnologiche sul sapere sembra destinata ad essere considerevole”, affermava più o meno profeticamente Jean-François Lyotard nel 1979 nella Condizione postmoderna: rapporto sul sapere. L’arte di Priscilla Tea, in effetti, può essere considerata l’estroflessione su tela di un bagaglio di esperienze legato a filo doppio con lo sviluppo della tecnologia computeristica. La sua gestualità pittorica è densa di rimandi alla sfera digitale, a quel microcosmo della virtualità che lei stessa ha vissuto negli Stati Uniti nei primi anni Duemila. La sua cifra stilistica è affidata alla tela e al medium pittorico, a pennellate insistite, a pochi colori ma decisi, il bianco, il blu, il nero, il grigio; alla costruzione di paesaggi urbani fissati nella memoria e mutuati da realtà virtuali. Con coerenza di metodo si dichiara fedele a una pratica artistica, la pittura, di fatto tradizionale, che però mette al servizio di un flusso nuovo e continuo di immagini e informazioni provenienti da quel bacino sterminato che è internet. Le sue opere a prima vista sembrano astratte, apparenza che presto viene elusa da un’analisi più approfondita del suo modus operandi. La possibilità di esplorare un concetto nuovo di paesaggio è centrale nella poetica dell’artista, un paesaggio scorto da finestre virtuali che rappresentano la fonte primaria di ispirazione. L’arte di Priscilla Tea assume i tratti di una dichiarazione di necessità della pittura come mezzo di espressione in un’epoca ormai lunga di sconfinamenti e sperimentazioni, sfidando in qualche modo anche le tortuosità del sistema dell’arte contemporanea.

Solo pittura, sempre su tela, sempre nella stessa dimensione tre metri per due. Come mai? «Quando ho iniziato a dipingere vivevo tra l’Europa e gli Stati Uniti. Non avevo una casa o uno spazio dove lavorare ai quadri, non c’erano le condizioni per dipingere e il mio studio era il mio laptop dove accumulavo immagini e disegni. Quando riuscivo a fermarmi per qualche settimana da qualche parte potevo lavorare ai quadri. I telai che sceglievo quando ho iniziato a dipingere avevano la misura più grande che potesse entrare dalla porta dello studio che ho avuto a disposizione poi a Los Angeles».

Durante la tua formazione ci sono stati dei modelli di riferimento? E ancora oggi ci sono artisti a cui ti ispiri? «Non è facile distinguere nei miei anni di formazione il gruppo stretto di amici che frequentavo dagli artisti che mi hanno influenzata. Tra loro c’erano Miltos Manetas, Andreas Angelidakis, Angelo Plessas, Rafael Rozendaal e altri. Questi artisti pensavano internet non come un pezzo di tecnologia ma come un emotional landscape. Nel 2000 hanno dato vita al movimento Neen e c’era uno spazio a Los Angeles chiamato Electronic Orphanage, un ambiente progettato come un grande schermo che dava su Chung King Road, dove si giocava ai videogiochi e si proiettavano siti web con animazioni in flash e immagini di architetture nei virtual worlds».

Con il tuo lavoro dichiari la necessità della pittura nell’arte contemporanea. Cosa significa essere pittori oggi? «In realtà non ho mai pensato di poter fare altro».

Puoi descriverci il tuo metodo di lavoro? «Avendo vissuto per alcuni anni senza una dimora fissa, ho sempre pensato al computer come al mio studio. I quadri partono dallo schermo, uso i brush di photoshop e di altri programmi di disegno più semplici e poi dallo schermo trasferisco l’immagine sulla tela. Ho sempre scattato tantissime fotografie durante i miei spostamenti IRL (In real life) ma anche nei virtual worlds o quando trovavo qualche strana immagine online ed è da queste immagini che faccio evolvere fuori e dentro il mio laptop i segni e i paesaggi che poi trasferisco su tela».

BIOGRAFIA 

1983
Nasce a Milano
2003
Conosce Paola Pivi e Martin Creed, con i quali trascorre alcune settimane in una casa-studio ad Alicudi. Scopre il mondo dell’arte contemporanea
2004
Incontra a Londra Miltos Manetas con il quale vive viaggiando per i cinque anni successivi tra Parigi, Los Angeles, Atene e New York. Questi sono gli anni centrali per la sua formazione. Si stabilisce tra Milano e Londra dove comincia a lavorare alla sua produzione e alle prime mostre
2011
Espone al Padiglione Internet (The Island of the Net) alla Biennale di Venezia
2015
È nella mostra Super Superstudio al Pac di Milano curata da Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi

PROGETTI FUTURI

L’artista attualmente sta lavorando su un gruppo di tele, come il lavoro esposto al Pac di Milano nell’ambito della mostra Super Superstudio, che rappresenta un’evoluzione della sua ricerca precedente e si focalizza sull’idea di orizzonte digitale. Durante il periodo di permanenza negli Stati Uniti l’estensione spaziale e le condizioni climatiche identiche che cristallizzano il tempo nel deserto di Los Angeles, le suggeriscono una fusione fra questi paesaggi reali e lo spazio online. Lo schermo del computer diventa il punto di confine tra spazio fisico e digitale. Questo nuovo corpus di opere sarà protagonista di una serie di mostre all’estero.