Nuove immagini a Studio la Città

Studio la Città, la galleria veronese che iniziò il suo percorso nel 1969 con Lucio Fontana, oggi, come in passato, dedica i suoi 900 mq alla ricerca e alla conferma di artisti sempre più desiderati dal mercato dell’arte, possiamo conoscerne le capacità comunicative e artistiche grazie alle puntuali e attese mostre studiate ad hoc. In questo periodo il visitatore può perdersi nella creatività di Vincenzo Castella, Hema Uphadyay e Esther Mathis. Tre protagonisti dalle diverse sfaccettature accolte a confronto tra gli ampi spazi della location. Torniamo al 2011 quanto Vincenzo Castella e Hema Uphadyay si erano incontrati in occasione di una mostra e avevano avuto modo di confrontarsi sui rispettivi lavori: grandi città osservate dall’occhio antropologico di Castella e le megalopoli indiane coagulate dallo sguardo sociale di Uphadyay nella sua grande installazione sulla bidonville multietnica. L’affinità tra i due artisti è stata tale che la naturale conclusione della loro conversazione era la promessa di fare una mostra insieme prendendo in esame il tema della città. Il progetto non ha avuto modo di realizzarsi per l’improvvisa scomparsa di Hema Uphadyay l’11 dicembre scorso, uccisa brutalmente con il suo avvocato. Ma Castella ha voluto mantenere la parola e renderle omaggio realizzando una mostra proprio accanto alla grande opera Where the bees suck, there suck I… dell’artista indiana.

Castella nasce a Napoli nel 1952, vive a Milano e dal ’75 usa la fotografia a colori. Dal ‘98 inizia la serie sugli edifici e realizza ipotesi di narrazione visiva sulla complessità del tessuto e dell’intreccio delle città, producendo grandi stampe a colori da film di grande e grandissimo formato. La ricerca è basata sui concetti di distanza e dislocazione. Dal 2006, costruisce installazioni video tratte da grandi negativi fotografici come Cronache da Milano presentato ad Art Basel 2009, Unlimited. Nello stesso anno realizza About town su Amsterdam, dove mette in relazione due quartieri della città, fino all’ultima creazione Inside deisha camp, Bethlehem 2007/2014 che oggi possiamo ammirare in Il corpo della città, progetto frutto di quella promessa fatta ed ora onorata. Un’installazione composta da molti frammenti fotografici tratti dalla stessa scena, un campo Palestinese di Betlemme, che lasceranno traccia simultanea sulla parete al centro della galleria, lavoro tratto da un video in movimento, anch’esso esposto su uno schermo sospeso all’interno della stessa sala. Sempre di Castella esposti tre scatti di maggiori dimensioni, incentrati sulla città di Milano e presenti alla scorsa edizione della Biennale di architettura di Venezia.

La terza artista ospite è Esther Mathis classe 1985, vive e lavora a Zurigo. Ha frequentato lo Ied di Milano dove ha vinto una borsa di studio per la Sva di New York e ha terminato nel 2015 un Master in Arte alla Zhdk di Zurigo. I suoi lavori sono stati esposti in numerose realtà, tra cui Präparat bergsturz al Chur art museum. Ha partecipato a tutte le mostre annuali del Kunstmuseum Winterthur dal 2011, e ha avuto il riconoscimento della città nel 2014. Ora la galleria scaligera le dedica per la prima volta una personale con due installazioni site specific realizzate per due differenti sale: Isolated systems vol. 1 e 2. I punti di partenza per i propri lavori sono alcuni assiomi scientifici fondamentali come i concetti di riflessione e rifrazione della luce, la conduttività elettrica o l’entropia, ma in effetti c’è molto di più, Esther scende in profondità per indagare le relazioni tra uomo e natura, tra caos e regola, creando realtà parallele, quasi dei mondi in miniatura. In Isolated systems vol. 1, ci troviamo davanti un vero e proprio ecosistema dove ridà vita ad un semplice esperimento infantile unendo tra loro circa cinquecento patate in circuiti chiusi di sette tuberi ciascuno, collegati ad una fonte di luce led. Nel corso di molte settimane, le patate perderanno la loro conduttività, diventando man mano rifiuti e la luce nella sala diverrà sempre più fioca in una metafora tutta umana dove il ciclo della vita porta sempre e comunque alla morte. Mentre in Isolated systems Vol. 2, l’artista ha installato per l’occasione le sue torri di vetro specchianti di dimensioni e altezze diverse. Proprio il vetro, quello per finestre, non la versione museale antiriflesso, un materiale molto amato da Esther Mathis per le sue proprietà contraddittorie: freddo, tagliente, affilato ma anche fragile ed elegante. In quest’opera l’artista gioca con gli effetti ottici che si creano tra le stratificazioni delle varie lamine di vetro poste una sull’altra e unite da un punto di colla trasparente. Info: www.studiolacitta.it

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