Gaitonde al Guggenheim

Sono le illustri sculture del cortile della Peggy Guggenheim Collection a scortarci all’interno dello spazio dedicato alla mostra temporanea V. S. Gaitonde. Pittura come processo, pittura come vita, retrospettiva antologica curata da Sandhini Poddar. In un’atmosfera che si nutre di silenzio e magia si dispiega la teoria sull’arte del raffinatissimo pittore indiano, attivo particolarmente tra la metà degli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, attraverso una traiettoria e un’architettura di pensiero profondamente indipendenti, frutto maturo e consapevole di una serie di interessi che inglobano diverse direzioni culturali, dalla musica alla poesia, allo Zen e agli influssi precipuamente artistici, di un’arte che è simbolo di un periodo storico inseminato da utopie moderniste e risvegli di indipendenza. Ma al di là della storia e delle influenze c’è una base stabile e irremovibile nell’esperienza di Gaitonde, un’imprescindibile ancoraggio al medium pittorico che è insieme presupposto ed espressione finale di una poetica composita retta da una notevole capacità di padroneggiare linee, colori e superfici. Gaitonde è un missionario della pittura intesa come sola esperienza estetica, svincolata da pesanti moralismi e libera da sentimentalismi opprimenti, è paladino di un’astrazione tutta sua, cui approda dopo intense sperimentazioni tecniche. Segnato dai dettati della tradizione pittorica dell’India occidentale risalente al periodo compreso tra l’XI e il XV secolo, accoglie e interiorizza gli insegnamenti di Paul Klee, artista di riferimento di tutta una generazione di modernisti indiani, di cui Gaitonde è probabilmente punta di diamante, sino alla fine dei Cinquanta, quando orienta la bussola verso destinazioni meno simboliche, definite dallo stesso non-oggettive.

La mostra veneziana ne ripercorre la carriera proponendo una corposa selezione di dipinti su tela e su carta, tutti rigorosamente senza titolo, quasi a voler suggerire una lettura unitaria di un flusso creativo in continua evoluzione, opere svuotate da intenti didascalici e descrittivi, scevre da velleità di significazione realistica, vere e proprie operazioni di ripiegamento sulla coscienza e riflessione sulla vita attraverso l’arte: «Io lavoro individualmente. Non ho un punto di vista scientifico; è soprattutto la mia esperienza della vita e della natura a emergere attraverso di me, a manifestarsi sulla tela». È una mostra dai ritmi lenti, compassati, come d’altronde il metodo poco prolifico e riflessivo dell’artista, in cui si avverte un’esigenza di contemplazione e all’interno della quale risulta davvero difficile non percepire la raffinatezza delle composizioni, la dimestichezza dei rapporti cromatici, la figurazione di uno spazio interiore tradotto in termini astratti. Gaitonde, come Kandinskij, opera un superamento della rappresentazione e confida nell’astrazione quale mezzo di espressione del pensiero anche quando, costretto alla metà degli Ottanta da un incidente ad abbandonare le grandi tele, si dedica a opere su carta di piccolo formato, in cui riversa la sua notevole capacità disegnativa attraverso segni calligrafici non imitativi, simboli di un ritmo alternato che è ora silenzio Zen, ora energia del Tantra.

Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, fino al 10 gennaio; info: www.guggenheim-venice.it