Madre Donna

Milano

Si è conclusa la mostra MadreDonna, di Alek Pierre, alla Galleria Hernandez di Milano. Lo sguardo indagatore del giovane fotografo e artista scruta la società di oggi attraverso una particolare fessura, che ha le sembianze della Vergine Maria e del suo cammino nelle sacre scritture. Un cammino che è una scelta, un percorso fisico ed etico che diventa oggi, a distanza di millenni, se non una risposta al mondo di oggi, una possibilità di riflessione. Un modo per mettere in evidenza la confusione dilagante nel mondo contemporaneo attraverso quindici pale, per un totale di cinque trittici che raccontano i cinque passi cruciali del cammino biblico della Madonna: Annunciazione, Magnificat, Nativià, Fuga in Egitto, Stabat Mater. Una scelta, quella della Pale, per usare un linguaggio artistico che aveva la valenza del dono, non più con la pretesa di dispensare conoscenza, ma di stuzzicare le coscienze.

Il cammino di Alek Pierre e della sua collaboratrice, Alice Miracola, che cerca di ripercorrere i passi di Maria, sembra partire proprio da quell’ultimo episodio biblico rivisitato dall’artista: il momento in cui il Cristo consegna sua madre al mondo, facendo di lei la madre dell’umanità; lei, madre del figlio di Dio, nominata madre dei peccatori. Eredità lasciata al mondo. Ma il mondo, come l’ha accolta? Una spada ti trafiggerà l’anima, aveva annunciato Simeone a Maria, secondo gli scritti biblici. Ed ecco che quella lama continua a trafiggere quell’anima, e quella dei suoi figli sparsi nel mondo. Ecco perché  l’Annunciazione, prima chiave di lettura della società contemporanea, diventa non annuncio di una buona novella, annuncio di speranza e di salvezza, ma di morte. Le lastre che costituiscono il trittico contestualizzano l’episodio religioso ai giorni di oggi, dove gli annunci che ci bombardano ci informano di distruzioni, catastrofi, malattie. E su tutte le domande che questi annunzi fanno sorgere, di dove sia quella salvezza annunciata più di tremila anni fa, si stendono le ali nere, quasi intinte nel petrolio, di un angelo che non ha più nulla della serenità e della lucentezza di un’annunciazione come quella che, ad esempio, ci aveva presentato il Beato Angelico.

L’angelo diviene Morte, con ali decadenti e scure, consumate dall’eternità di un destino già deciso. Come quello a cui la Madonna, presto madre, si era asservita per volere divino. Un destino deciso che per la Vergine diventa modo per glorificare Dio, che si serviva di Lei e della sua umiltà, magnificandolo. Al Magnificat è dedicata la seconda pala, commistione di vari materiali, fango, terra, prodotti commerciali e poi… impronte di scarpe che si accavallano in mezzo alle quali emergono, perché tinte d’oro le impronte di una paio di piedi scalzi. I segni di gomiti e unghie nel terreno. Un trittico che, severo, domanda all’osservatore: siamo ancora pronti noi, come Maria, ad inginocchiarci? Ad accettare il cammino, a cadere, a rialzarci? Siamo disposti a camminare a piedi nudi, sulla terra, sull’asfalto, sul terreno rovente, sul fango… siamo pronti a ferirci?

Influssi Pop contaminano invece, le pale Natività e Stabat mater, collage di immagini dove si risente tutta la ricerca dell’artista attraverso un mondo artistico che spazia da Enrico Baj, il movimento Fluxus, il New-dada e di molte espressioni dell’arte concettuale degli anni settanta, come Emilio Isgrò e Mirella Bentivoglio. Attingendo ad espressioni ptabat Mater, ripescate dal linguaggio politico e pubblicitario. Un’opera altamente simbolica di un inferno in terra dove il sangue degli uomini viene versato come era stato per il figlio di Maria di Nazaret, Gesù. Un magma vulcanico che esplode e si dirada unificando nel suo colore rosso sangue il dolore delle storie di tutti i tempi. Un dettaglio colpisce l’occhio attento dell’osservatore e diviene fil rouge di tutto il lavoro. Una donna africana, una madre, che stringe tra le sue tenere braccia suo figlio; i loro volti, sporcati dal rosso del sangue. Sintesi del momento dello Stabat Mater, in cui la Madonna diviene madre degli umili, degli ultimi, dei peccatori, dei perseguitati. Gli occhi di quella madre, come forse pure quelli di Maria, se potessimo vederli, domandano se non sia stata inutile quella morte sulla croce, se il mondo sceglie ancora il Male. E questa immagine, relegata nell’angolino della terza pala del trittico rimanda ad un altro, quello dedicato all’episodio della Fuga in Egitto. Terribilmente attuale se si guarda questa grigia folla materica in fila dietro una rete di ferro. Sagome che ricordano il susseguirsi di mani, giunte in preghiera. Riflessione mai ridondante sui coloro che migrano, proprio come Maria, Giuseppe e il loro Gesù. Su chi abbandona la propria terra verso un’altra lontana, senza sapere se, come e quando la si potrà raggiungere, brancolando nel buio. A cui non resta la disperazione, oppure, quelle mani, palmo contro palmo, per rivolgere a qualche dio, una preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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