Residenze d’artista a Venezia

Venezia

Continua il ciclo dedicato agli artisti attualmente in residenza a Venezia presso la Fondazione Bevilacqua La Masa per conoscere le rispettive ricerche e i progetti per i quali sono stati selezionati. Rispondono tre assegnatari che stanno lavorando negli atelier di Palazzo Carminati: Valentina Furian, Riccardo Giacconi e Caterina Morigi.

Valentina Furian (1989, Venezia)

Per una sonorizzazione delle collezioni naturalistiche è il progetto che intende sviluppare durante quest’anno di residenza. Questo titolo è la sintesi dei due punti focali iniziali delle ricerche che sta approfondendo. Sta indagando due diversi archivi che in comune hanno l’intento di esplorare il mondo animale, ordinandolo secondo un inventario proprio dell’uomo: è l’incontro del mondo naturale in comunicazione bisensoriale con la conoscenza umana. Il primo archivio di tipo visivo è il Museo di Storia Naturale di Venezia; il secondo è un archivio audio online, la Macaulay Library. L’aspetto più interessante riscontrato è la necessità dell’uomo di avvicinarsi al mondo naturale, animale o vegetale, grazie alle proprie abilità emulative, tentando di replicarne gli aspetti, di imitarne i suoni e far proprie le loro peculiarità. Inserendosi tra queste forme di archiviazione della natura il suo lavoro intende strutturarsi cercando di decontestualizzare le informazioni di questi archivi; tramite una delocalizzazione forzata i dati analizzati prenderanno una diversa forma. Questi sono per lei degli input visivi e sonori che andranno a costruire il suo piccolo atlante. Ciò che le interessa ora è il dialogo tra immagini e suono, che è anche il punto di partenza di queste ricerche.

Nel tuo lavoro senti sempre molto forte il rapporto con il luogo, con lo spazio in cui operi. in che modo pensi che questa esperienza e il tempo che trascorrerai in atelier influenzerà il tuo progetto? «La produzione site-specific per me è un’arma a doppio taglio: da un lato il lavoro dell’artista a contatto con l’ambiente in cui l’opera viene creata e continuerà a vivere è un punto vitalizzante per l’opera stessa, dall’altra credo che l’ispirazione a partire esclusivamente dal luogo possa essere limitante nella pratica artistica. Il processo che attiva il mio lavoro può scaturire dal luogo o ricercarlo a opera conclusa. Quando si lavora a partire da input di ordine naturale o storico è fondamentale permettere all’opera stessa di respirare l’aria del proprio habitat. Vedo il mio atelier come uno spazio dove avrà luogo la concretizzazione dei processi mentali che portano alla realizzazione di un lavoro: sarà il contenitore delle mie ricerche, il mio atlante sensoriale dove le mie riflessioni prenderanno forma».

Riccardo Giacconi (1985, San Severino Marche, MC)

Ha presentato un progetto sulla comunità Touareg di Pordenone. Inizierà andando lì, cercando di conoscere delle persone e cercando di ascoltare delle storie, anche attraverso l’associazione locale Il Mondo Touareg.

Qualche anno fa, mentre lavoravi con Maria Luisa Spaziani, ponevi la questione: si può parlare di ispirazione nell’arte contemporanea? Cosa ispira oggi il tuo lavoro? «Mi piacciono le storie e studiare come esse sopravvivono in diversi contesti geografici, storici e culturali, attraverso quali canali vengono trasmesse e i modi in cui si trasformano, si nascondono e riemergono all’improvviso».

Caterina Morigi (1991, Ravenna)

La ricerca che porterà avanti alla BLM durante quest’anno, è strettamente connessa all’attività osservativa e al verbo guardare e si presenta come una una serie di fotografie di paesaggi naturali. Il Progetto Seuils nasce nel 2014, visitando le coste della Normandia e della Bretagna. È partita fotografando ciò che la suggestiona, prestando attenzione a ciò verso cui i suoi occhi si dirigono. Le interessa soprattutto approfondire il legame tra le fotografie e il repertorio visivo pregresso. Ritiene che un ruolo importante sia giocato dalla memoria visiva, poiché gli occhi sono impregnati di tutto ciò che abbiamo guardato prima, lasciando tracce che restano come modello traslucido per la formazione di immagini successive. Attualmente la serie di fotografie è composta da texture naturali. La texture è infatti una delle strutture sulle quali si basa maggiormente il mio lavoro. Proseguirà andando alla ricerca di altri luoghi e nuove immagini che possano essere utili a stabilire la soglia tra ciò su cui si concentra lo sguardo e i confini entro i quali decide di includerlo.

Nel tuo lavoro coesistono tanto l’idea di segno, penso a Trama, quanto quella di vuoto. Qual è il processo attraverso cui cerchi di evidenziare questo passaggio (o ”soglia”come tu la definisci)? «Nella mia ricerca studio il segno, cioè la traccia lasciata da qualcosa su una superficie, o nell’interiorità. Talvolta accade che la traccia sia trasparente, immateriale, ovvero che sia un vuoto. Può accadere quando ciò che passa poi scompare, ed invece che lasciare una scia o una macchia, resta solamente la mancanza. Con il mio lavoro vado alla ricerca di queste tracce, cercando di compiere diversi percorsi, per poter raccogliere vari punti di vista, varie sfaccettature, ed arrivare a comporre un’immagine complessa. Il metodo che uso per parlare della traccia, è quello di individuarla e metterla in luce. Talvolta contornandola con gli inchiostri (Quaderni e Trama), o catturandola con la fotografia (Montagne)».

 

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