L’Analfabeto

L’Analfabeto è il titolo della mostra collettiva di giovani artisti di diverse nazionalità, presentata fino al 17 maggio nella cisterna di villa Medici. Yann Annichiarico, Axelle Bonnard, Elise Cam, Jenny Feal Goméz, Karolina Krasouli, Anaëlle Vanel e Ovidiu Leuce presentano le loro opere assieme a quelle di Francisco Tropa, Alfredo Pirri, Bernhard Rüdiger, artisti di fama internazionale che li hanno accompagnati nel loro percorso artistico, unitamente a uno scambio estetico-critico avvenuto attraverso gli incontri con François Piron, curatore e critico d’arte francese e Romeo Castellucci, regista teatrale e scenografo italiano.

La mostra scaturisce dall’alfabeto, titolo ispirato dalla prima serie delle opere di Jannis Kounellis e divenuto in seguito un vero e proprio progetto di ricerca proposto in particolare da cinque di questi giovani artisti che si sono conosciuti all’Ensba, l’accademia di Belle arti di Lione. Sollecitati dalla riflessione sul concetto di trasmissione nell’arte, nel luglio 2014 partono per l’Italia, a Roma, dove incontrano Francisco Tropa, Jannis Kounellis e Alfredo Pirri, per poi proseguire verso Matera sulle tracce di Pier Paolo Pasolini fino ai siti archeologici dei popoli italioti dell’età del bronzo: il passato, il presente e il futuro si fondono assieme nel concetto di tradizione e innovazione. La loro attenzione si sposta dunque verso un’indagine storico culturale e sulla possibilità di intervenire in maniera analfabeta, attraverso un cancellazione della memoria, ossia cercando di mettersi in una condizione di ignoranza nel tentativo di reinventare un alfabeto e di creare un nuovo linguaggio comune a tutte le civiltà.

Il percorso della mostra inizia con un’opera di Francisco Tropa che ci pone subito davanti a una scelta, in relazione con ciò che si sta per esperire: un mazzo di carte stampate recto-verso con le parole Não e Sim, ossia sì e no in lingua portoghese. Ma qual è la domanda, o meglio, il significato intrinseco di queste lettere/parole? Il lavoro di Yann Annichiarico si basa sulla ricerca di nuovi punti di vista e nuove prospettive indagando la vista dei volatili, ossia i loro occhi come organo di senso ancora così estraneo all’uomo. I suoi lavori spesso sono una sorta di macchine ottiche che mostrano o non mostrano volutamente questa visione. Come nella sua opera Le bec dans l’optique (rien à voir), una sorta di obelisco in miniatura, rovesciato e perforato alla punta, come un foro stenopeico nel quale un piccolo uccello ha infilato troppo in profondità il suo becco e non riesce a vedere più nulla. Una metafora per esprimere inoltre la concreta difficoltà in cui ci s’imbatte nel cercare di configurare il mondo o meglio, la visione di una delle realtà possibili.

L’opera Omitted Center di Karolina Krasouli s‘ispira a una poetessa statunitense vissuta nel XVIII secolo che aveva come prassi quella di ritagliare delle buste da lettera in maniera tale da simulare la sagoma del suo manoscritto, alludendo così a una nuova forma di scrittura. Così Krasouli, insieme a una particolare attenzione verso i colori, sperimenta questa pratica: le buste colorate e ritagliate sono in fine collocate in maniera ordinata sul muro. La griglia multiforme e colorata crea un nuovo alfabeto. Ovidiu Leuce presenta il suo lavoro intitolato Studio per Mondo Nuovo (ispirato all’opera di Giambattista Tiepolo) in cui si concentra sul concetto di ancoraggio di una cultura. Popoli dislocati che venendo a contatto con una cultura a loro estranea, ricreano un nuovo mondo attraverso un differente modo di vivere: la nuova vita genera un movimento circolare che si perpetua, come una danza atavica di cui si sono perse le tracce ma non il ricordo e che dunque è da reinventare.

L’opera di Alfredo Pirri presenta una concretezza materica rivisitata: semplici mattoni industriali resi eterei da una patina di ceramica nella quale sono stati immersi. All’interno di questi s’intravedono schizzi di vernice rossa, come a manifestarne l’elemento vitale. L’edificazione di una nuova realtà, che può verificarsi soltanto in seguito a una frammentazione del mondo, una perdita di riferimenti, ossia della conoscenza che va quindi ricostruita. L’opera di Pirri si trova nel vano prima di accedere alla grande cisterna, dove sono state allestite le altre opere, quasi a significare il trait d’union di questa mostra nata da una collaborazione a livello internazionale, sia per gli artisti che per le istituzioni implicate: l’Accademia di Francia dove si svolge la mostra, l’Ensba di Lione dove alcuni degli gli artisti in mostra hanno perseguito i loro studi e dove insegna Bernard Rüdiger, il Macro dove François Piron ha tenuto la sua conferenza sull’Art Brut, la Fondazione per l’Arte presso la quale gli artisti della mostra L’Analfabeto si sono incontrati con degli artisti italiani per uno scambio artistico e culturale, l’Università la Sapienza grazie alla quale si è potuta realizzare la conferenza tenuta da Romeo Castellucci.

Nella grande cisterna si trova la scultura di Axelle Bonnard, Tour de guet relevée, attraverso la quale avviene un ribaltamento di visione che gioca appunto sulla fragilità. La fragilità di una torre di avvistamento che dovrebbe avere un imponente punto di vista di cui gode sempre una struttura che si affaccia sullo strapiombo, sul vuoto. In questo caso la torre si trova a un’altezza in cui accade l’inverso: siamo noi ad essere al di sopra di essa e a percepirne il suo vuoto e la sua estrema fragilità e vulnerabilità. L’opera di Axelle Bonnard apre lo spazio a dei punti di vista differenti rispetto al nostro rapporto con la realtà, mostrandoci una condizione d’incertezza attraverso la struttura vacillante della torre.

Anaëlle Vanel presenta un insieme di foto che mantengono una loro autonomia e sono quindi riposizionabili rispetto al contesto con cui entrano in relazione. Una delle foto è la riproduzione dell’immagine della tomba di Malevič del 1935, dove il quadrato nero diventa una sorta di epitaffio, proprio come una finestra aperta sul nulla, ma allo stesso tempo un riavvicinamento che avviene tramite i fiori posati sopra di essa: la riconciliazione tra la spiritualità e la terra, tra il suprematismo e il romanticismo. Così il quadrato nero di Malevič diventa qualcosa di molto concreto. Un’altra delle foto, mostra un frammento del muro esterno dell’Ospedale psichiatrico di Volterra, il muro che un paziente ha inciso per circa cento metri con dei segni cuneiformi: una sorta di ritorno all’origine della scrittura ma anche una volontà di reinventare un linguaggio. Bernhard Rüdiger presenta al centro della cisterna le sue opere, tra cui uno dei suoi lavori giovanili. La colonne del 1985 racconta la sua condizione di giovane artista alla ricerca di una nuova struttura del linguaggio arcaico che avveniva attraverso la creazione della sua stessa opera. È composta di fogli di piombo che assumono una funzione molto elementare, in quanto plasmati nella forma più semplice e arcaica e sovrapposti fino al limite di sopportazione del loro stesso peso, appena in tempo per evitarne lo sprofondamento. C’è dunque qualcosa di molto instabile in questo equilibrio apparente.

Posate discretamente in diversi punti della cisterna, si trovano le spugne di Jenny Feal Goméz, fatte arrivare da Cuba, luogo natio dell’artista. Le spugne, dislocate dal loro luogo d’origine si nutrono dell’acqua dell’antica cisterna, nuova fonte di nutrimento, che tuttavia non possono assorbire completamente. Una vita che racchiude un nuovo significato etico ed estetico. Adagiata a terra nello spazio della cisterna, si trova l’opera di Elise Cam, un foglio di porcellana diviso in otto parti, tagliate, ripiegate e infine cotte: otto tentativi di forme primordiali. Come dei fari che tentano di delimitare uno spazio non definito, così i fogli di porcellana fungono da supporto a un vuoto, che in quanto tale è impronunciabile. Il lavoro di Cam cerca di individuare il vuoto, il nulla, nel tentativo di segnalare qualcosa che non esiste, ma che comunque assume già un carattere concreto appena lo sguardo vi è posato.

Tutte le opere in mostra volgono lo sguardo verso una visione diversa della realtà, come descritto nel concetto di mimesi adorniano in cui il termine non è inteso come riproduzione della realtà, ma come la capacità che l’arte ha di riferirsi ad essa: ”Così – scrive il filosofo – l’opera d’arte fa emergere l’altro del dato”. Ciò che si può esperire, non sempre si riesce a spiegare e come afferma Adorno nella sua Teoria estetica, ciò che non si può spiegare è quindi indicibile, impronunciabile e si può esprimere soltanto non dicendo, dunque attraverso il silenzio. Così come accade nella mostra L’Analfabeto, dove la storia è lasciata intendere attraverso le opere racchiuse nel silenzioso ventre di un’antica cisterna pluviale.

Fino al 17 maggio; villa Medici, viale trinità dei monti, Roma; info: www.villamedici.it

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