Saint Phalle oltre il colore

Classe 1930, francese di nascita ma statunitense di adozione, in seguito al trasferimento della famiglia a New York colpita da una crisi finanziaria, Niki de Saint Phalle è nell’immaginario collettivo l’artista delle grandi sculture di donne colorate. Molti fanno fatica, ancora oggi, a leggere tra le righe quel binomio di colore e provocazione, colore e rabbia, colore e disperazione, colore e denuncia. Per breve tempo fotomodella per le copertine di Vogue, Life, Harper’s Bazaar, tornata in Francia, Niki rifiuta di intraprendere la carriera di attrice e si dedica alla pittura, prima seguendo dei corsi, poi come autodidatta, prediligendo da subito la figura della donna come soggetto delle sue tele, in particolare la donna come madre dopo la nascita della figlia Laura nel 1951. «L’atto del dipingere ha calmato il caos che agitava la mia anima e ha dato alla mia vita una struttura organica dalla quale ripartire. Se non avessi avuto questo, non voglio nemmeno immaginare quello che mi sarebbe potuto accadere». Nel 1953 all’artista viene diagnosticata una forma di schizofrenia ed è internata nell’ospedale di Nizza per sei settimane, periodo in cui riaffiora alla sua memoria la violenza subita dal padre a undici anni. La scoperta terribile e destabilizzante aprirà le porte a una nuova fase della sua produzione, mai interrotta nemmeno durante il periodo di isolamento psichiatrico.

Intenzionata a consolidare la propria identità di artista, dopo la sua prima personale in Svizzera nel 1956, Niki comincia a frequentare gli atelier parigini dove conoscerà, fra gli altri, Jean Tinguely, incontro fondamentale per la sua vita personale e professionale, che la porterà a divorziare dal marito, lo scrittore Harry Mathews, e a un’evoluzione nel rapporto con le sue opere. Nel 1961 comincia a mettere in scena Les tirs, azioni performative nelle quali l’artista colpisce con la carabina sculture in gesso nelle quali esplodono sacchetti di pittura. Nonostante abbia la possibilità di studiare da vicino la grande arte del passato al Louvre, la vera fonte di ispirazione arriva da Parc Güell di Gaudì a Barcellona: le superfici colorate e specchianti, l’esplosione di colori la portano a cercare la terza dimensione nelle tele, in quelle forme che la renderanno poi famosa al grande pubblico. Se le prime Nanas sono donne colpite dalla violenza, che incarnano lo stato di angoscia e depressione proprio dell’artista, dal 1967 le grandi donne colorate raggiungono dimensioni e colori dal potere dirompente, sino a diventare sculture abitabili. Sono l’immagine di donne forti, che hanno anche un altro colore della pelle e che possono lanciare messaggi impegnati. A metà fra il vivace cromatismo di Matisse, la dimensione dell’infanzia di Mirò e l’eclettismo di Gaudì, l’artista usa il potere del colore per denunciare i missili cubani, le vittime mietute dal dilagare dell’Aids.

La femminilità della donna che in Hon (installazione abitabile esposta nel 1962 allo Stedelijk museum di Amsterdam e realizzata assieme a Jean Tinguely) può essere letteralmente penetrata attraverso la vagina, desta non poco clamore da parte del pubblico e richiama alla memoria sia L’origine del mondo di Gustave Courbet sia il dramma personale sviscerato dalle opere di Louise Bourgeois. La vita della de Saint Phalle è un tiro al bersaglio, contro la società, contro un modo di fare arte, contro un approccio conformista alla vita, contro un’idea ancora immobile della figura della donna in un mondo che, più o meno velocemente, stava inseguendo nuovi traguardi di civiltà. Dall’inizio alla fine del viaggio, anche quando Les tirs lasceranno il posto alle superfici specchianti e ai colori sgargianti delle Nanas, il messaggio resterà sempre lo stesso: infrangere la realtà con un tumulto esplosivo.

LA MOSTRA

Dal Grand Palais al Guggenheim

Dalle azioni performative ispirate all’action painting americano, fino alle grandi installazioni ambientali della fontana automatica dedicata a Igor Stravinsky nella piazza antistante al centre Pompidou di Parigi e del Giardino dei Tarocchi in Toscana, la grande mostra retrospettiva dedicata all’artista franco americana Niki de Saint Phalle ripercorre tutte le fasi più importanti del suo percorso, compresa l’inedita scultura in metallo dal titolo Il sogno di Diana e alcuni estratti del film Daddy (1972). La mostra è visibile fino al 2 febbraio nelle sale del Grand Palais di Parigi, successivamente si sposterà al Guggenheim di Bilbao fino al 7 giugno 2015. Info: www.guggenheim-bilbao.es

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