Arte o pubblicità?

Roma

Gli spazi urbani inondati dal rumore pubblicitario trovano nel graffitismo il vero oppositore in termini di valori simbolici e sociali. Una forza che nasce dal basso, dall’emarginazione, da una voglia di rivalsa che si affianca e si ribella a quell’effimera esposizione mediatica dell’oggetto perfetto. È una guerra di segni, una rivoluzione semantica. ”Il sistema si riproduce non solo economicamente e nello spazio, ma anche in profondità, mediante la ramificazione dei segni e dei codici, mediante la distribuzione simbolica dei rapporti sociali […] La città è in prevalenza il luogo dell’esecuzione del segno come d’una sentenza di vita o di morte”, Rammelzee la definisce una ”insurrezione” al sistema del mercato per rivendicare un’identità e socialità viva che non intende piegarsi alla dittatura del simulacro.

Quel simulacro che caratterizza l’era postmoderna, frammentato, anonimo, povero di significato. È pura apparenza che si afferma sulla superficie con notevole forza espressiva. Ma in poco tempo si attua una metamorfosi culturale in cui l’arte si trasforma da ribella ad accomodante, inglobando significati attigui a quel modo ”superficiale” di comunicare. È una superficialità che segue le regole del mercato, il graffitismo entra nelle gallerie, nei musei, nel mondo della pubblicità. Sembra non ci sia più guerra, né insurrezione. Gli esempi più intelligenti che raccontano i mutamenti in atto sono Jean-Michel Basquiet e Keith Haring.
Il primo caratterizzato da una pittura primitiva e antropologica, interiore e combattiva che riscopre le sue origini nella profondità del segno. L’altro sfrutta i linguaggi mediatici, contamina le superfici pubblicitarie, la sua manifestazione si avvale di inglobare tutto ciò che è presente e la sua forza si manifesta nell’unicità dell’insieme. Non c’è contrapposizione all’oggetto contaminato ma accettazione e approvazione. Haring produce gadget in serie, non ci sono più distinzioni: l’arte è pubblicità.

”Nel mondo dei simulacri l’identità non è più un valore fondante poiché al posto dei soggetti e delle personalità si trovano delle singolarità preindividuali e delle intensità impersonali. […] Un mondo di distribuzioni nomadi anziché di architetture sedentarie, di strategie impersonali anziche di azioni soggettive”.

Anche le gallerie sponsorizzano il prodotto artistico, i critici spesso si esprimono su commissione, alcuni musei promuovono artisti con criteri di valutazione puramente economici. Il sistema strategico alimenta quello del mercato, in una speculazione assistita dalla forza della mediaticità. La ”contaminazione” descritta da Fredric Jameson come ”cancellazione del confine tra la cultura alta e la cosiddetta cultura di massa” si concretizza in un’arte che si costruisce in funzione della comunicazione. Essa non vincola il concetto artistico, ma lo concepisce in funzione del suo ruolo. Caso eclatante è il lavoro di Jiri George Dokoupil, artista tedesco che realizza e dipinge consultando previsioni di mercato, statistiche di vendita e professionisti di marketing.

I Nuovi-nuovi di Barilli, la Federation Libre di Hervé Perdriolle, i Neuen Wilden tedeschi e in parte il nuovo futurismo italiano sono un esempio di una produzione intimamente legata all’immaginario mediatico degli anni Ottanta.