Any Given Post-it

Any Given Post-it è la collettiva che inaugura il 31 gennaio alla White Noise Gallery, a cura di Sofia Catoni e Chiara Garlanda. Sessantasei artisti utilizzano il post-it come mezzo per la creazione delle loro opere. Un concept originale che si confronta con modelli quali quello della Giant Robot di Los Angeles e della Spoke-art di San Francisco che hanno proposto agli artisti supporti particolari cui approcciarsi. Il post-it però, in questo caso, non è solo un supporto, ma è un mezzo vero e proprio da plasmare a seconda della personale inventività. Sono coinvolti italiani e stranieri di varie provenienze stilistiche: pittori, scultori, fotografi, street artists, fumettisti, illustratori ed un performer. È la prima volta che i due galleristi Carlo Maria Lolli Ghetti ed Eleonora Aloise non sono anche i curatori della mostra che ospitano, spiega Lolli Ghetti: «Di solito siamo noi a curare le nostre mostre per due motivi: primo perché in questo modo siamo in grado di dare in maniera più approfondita un’impronta personale, secondo perché ciò ci consente di avere un’interazione con gli artisti, cosa che troviamo interessante e divertente. Così il gallerista ha un valore aggiunto: non è solo una questione di selezione, ma anche una questione di creazione dell’esposizione insieme all’artista». Eleonora aggiunge: «Questa volta abbiamo voluto coinvolgere nel progetto le nostre due collaboratrici, Catoni e Garlanda, perché chi lavora in galleria non ha spesso l’opportunità di confrontarsi direttamente con gli artisti e con mostre tanto impegnative. Abbiamo dato loro la massima fiducia, con il nostro contributo, e hanno fatto un lavoro eccellente».

Lolli Ghetti racconta che l’idea di Any Given Post-it è nata dalla constatazione che la memoria storica di tutti gli allestimenti, le gestazioni delle esposizioni, delle idee, che si sono avvicendati in galleria era consegnata a questo piccolo foglietto dai colori pop che in qualche maniera andava nobilitato, così i due galleristi hanno deciso di lanciare una sfida agli artisti creando il vincolo dell’utilizzo del post-it accompagnato dal vincolo delle dimensioni, massimo 35×35, e dal vincolo di abbandonare il sistema tipico dei multipli e delle quotazioni, per la realizzazione e commercializzazione delle loro opere, e tutto ciò è avvenuto in maniera spontanea e consequenziale. Ed Aloise commenta: «Il primo step è stato quello raccontato da Carlo Maria, poi ci siamo accorti che stava nascendo un esperimento sull’identità: ognuno è riuscito a tirare fuori la propria identità artistica a prescindere dalle condizioni di partenza. Ci siamo quindi interrogati sul concetto di Fine art: su cos’è la Fine art, se è il mezzo o l’idea, se è la capacità di sintetizzare un’idea anche in condizioni apparentemente non adatte, e ciò curatorilamente è stato molto interessante sia per noi che per Catoni e Garlanda».

Catoni aggiunge sul concetto di identità: «Tutte le opere in mostra si possono riassumere in un sillogismo: se l’arte è un’idea e l’idea è un post-it, l’arte può essere un post-it. L’identità non è il mezzo, è l’artista che fa il mezzo, non il contrario. La creatività si può sviluppare in tante maniere, possiamo pensare al post-it come punto di partenza, l’importante è il concetto che sta dietro. Ciò coinvolge anche il linguaggio: se si riesce a plasmare a seconda delle esigenze senza snaturarsi, si unisce una creatività nuova alla propria cifra stilistica. «Nell’esposizione si riscontrano ironia, profondità e sperimentazione – come dice Lolli Ghetti – c’è ironia perché il post-it richiama atmosfere che non sono quelle tipiche dello Sturm und drang del pensiero artistico come lo si può immaginare, c’è ironia anche perché gli artisti hanno dovuto in molti casi ridimensionarsi per adattarsi a un medium meno nobile rispetto, ad esempio, a tela e pennelli; per assurdo la profondità è stata un frutto della reazione all’ironia, gli artisti sono stati costretti a ripensare tutto il loro lavoro in funzione del post-it, che probabilmente avrebbe rischiato di renderlo meno serio e quindi meno profondo, sono diventati invece ancora più profondi per cercare di bilanciare l’ironia che c’era».  Aloise conclude: «La profondità era imprescindibile perché sono creativi. C’è una forte dose di sperimentazione perché tutti hanno provato a realizzare qualcosa di nuovo, nessuno ha come base del proprio lavoro abituale il post-it.” Ogni opera in mostra è accompagnata da didascalie e una frase scelta da ciascun artista che rispecchi la propria identità, rigorosamente su post-it».

Fino al 28 febbraio; White Noise Gallery, via dei Marsi 20/22, Roma; info: www.whitenoisegallery.it

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