Joan Jonas all’Hangar

Dal 1968, anno della sua prima performance a New York, Joan Jonas (1936) ha usato, manipolato, formato, distorto tutti i media possibili per creare opere che spaziano dal film, al video, dall’installazione alla performance, intrecciandosi e contaminandosi a vicenda. Quarant’anni di carriera non sono facili da sintetizzare in una mostra, forse, proprio per questo motivo, la scelta curatoriale attuata da Andrea Lissoni per Pirelli Hangar Bicocca è volta più a ricostruire attraverso immagini e sensazioni, in un percorso che va camminato ed esplorato, l’excursus artistico dell’artista newyorkese e meno attraverso una lunga esposizione cronologica dei lavori nati in questi decenni. Volutamente si è deciso di non inserire, tra le venti opere selezionate, i lavori che presentano al loro interno immagini stereotipate della ricerca di Jonas: gli specchi, il femminismo, l’esplorazione del corpo e del sé. Ma questi elementi, se pur non presenti specificatamente nelle singole opere, vengono evocati lungo tutto il percorso ed emergono spontaneamente nella mente di chi si ferma a osservare.

After Mirage (1976/2011) accoglie il pubblico attirandolo nelle sue spire di coni di carta fotografica in un vorticoso spaesamento. Gli fa da eco il lavoro dal quale deriva: Mirage (1976/1994/2005), cuore pulsante della mostra, statuario e metafisico come un quadro di de Chirico, puro come le sculture di Giacometti, dolcemente amaro come un film di Fellini. Il gioco di rimbalzi e riflessi prosegue con un dialogo a distanza tra i grandi schermi sui quali sono proiettati i primi video dell’artista, ad esempio Songdelay (1973) e Wind (1968). Le grandi installazioni, frutto della traduzione del suo lavoro performativo e di ricerca sperimentale, vedono convivere al loro interno lavori passati, della contemporaneità, riflessioni sulla storia recente, lo studio appassionato dei miti e dei riti di varie culture e tradizioni, la letteratura e la poesia. Come il mito di Elena di Troia in Lines in the Sand (2002) o la storia di Gudrun, protagonista dell’islandese Laxdale Saga risalente al XIII secolo, raccontata in Volcano Saga (1985/1994). Chiude la mostra l’installazione Reanimation (2010/2012/2013) adattata e modificata per lo spazio del cubo. Se a documenta (13), nel 2012, Jonas aveva composto l’opera creando una casa dalla quale spiare attraverso le finestre diversi video (creando così una certa distanza e distacco tra chi vede e ciò che è visto), ora fa entrare in quella casa il pubblico, come se le pareti fossero esplose.

Cuore della stanza una teca di cristalli protagonisti, insieme a immagini di paesaggi nordici innevati, di alcuni video proiettati sulle pareti, in carta giapponese, che la circondano e proteggono. Riflessi magici, luccichii, i giochi di luce e ombra si creano al passare delle persone; più in là, sulle pareti della stanza che accoglie l’installazione, disegni dell’artista di figure animalesche; due My New Theater con all’interno video presenti in altre opere esposte nella mostra e in sottofondo canti lapponi come accompagnamento. È il riassunto di tutta la ricerca condotta da Jonas in questi anni spiegata con semplicità di forme (quelle che lei ha sempre usato nelle sue performance e nei suoi disegni – la linea e il cerchio), ritmici giochi di luce (i riflessi dello spazio negli specchi, la ricerca sul suono del primi anni ’70), la stratificazione dello spazio (con le pareti di carta giapponese a creare una stanza nella stanza) come metafora della stratificazione del suo lavoro, ma che apre anche alla visione della scena come se si fosse un circuito chiuso nel quale lo spettatore è anche protagonista e partecipe dell’opera perché autore delle ombre sulle pareti. La luce, il tempo, le storie si possono raccontare infinite volte e in infiniti modi. Quello che Jonas ha fatto e continua a fare.

Fino al 2 febbraio, Pirelli HangarBicocca, via delle Chiese 2, Milano; info: www.hangarbicocca.org

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