Museum 2.0

Da templi delle muse a contenitori digitali, i musei stanno cambiando aspetto e, con loro, anche i fruitori. Questi ultimi varcano le soglie sacre di quelle che un tempo erano roccaforti impenetrabili, non più tenendo in mano matita e quaderno in religioso silenzio contemplativo ma passeggiando davanti alle opere, muniti di iphone e ipad. Ecco il profilo dell’homo digitalis. Niente più file all’ingresso, basta registrare il codice Qr sullo smarphone e niente più allarmi che squillano, non serve avvicinarsi alle opere se sul tablet si può avere una loro riproduzione in gigapixel. «D’altronde – dice Albino Ruberti, amministratore delegato Zètema cultura, la società che gestisce i musei civici romani – se la nostra vita non può più prescindere dalla tecnologia, perché dovrebbe farlo quella dei musei?». Le nuove tecnologie rappresentano un’opportunità per costruire rapporti inediti con il pubblico, permettendo a un target più vasto di avvicinarsi alla cultura. Alla funzione di presentare e conservare opere d’arte, si aggiunge oggi quella di fornire il maggior numero di informazioni, facilitare l’accessibilità alle opere e coinvolgere il visitatore. Da tempo il museo è passato da semplice espositore a luogo interattivo, sovvertendo l’ormai obsoleto principio del vietato toccare, vietato fotografare. Molti musei hanno compreso le potenzialità che possono fornire i servizi digitali, se usati con intelligenza: «Espandere la fruizione delle ricchezze culturali portandole sul mondo digitale è un modo per parlare a tutti, senza limiti geografici, linguistici, culturali, stimolando la curiosità anche di un pubblico giovane », sostiene Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente capitolino ai Beni culturali. Grazie a Google art project, ad esempio, molte collezioni sono entrate a far parte di una piattaforma online che raccoglie opere in alta risoluzione e permette di effettuare tour virtuali. Il progetto, lanciato nel 2011, ha coinvolto istituzioni come il Louvre, la Tate, il Reina Sofia, ma non solo. La partecipazione italiana è significativa, quasi a smentire quello che Eric Smith, presidente di Google ci ha rimproverato a giugno: L’Italia deve diventare digitale portando sul web le ricchezze culturali. Smith non ha del tutto torto, per poter parlare di rivoluzione tecnologica, la strada dell’Italia è ancora lunga: «Le realtà internazionali sono avanti perché hanno una sensibilità diversa, sono meno frenate da certe convinzioni e inoltre sono partite prima e, di conseguenza, hanno acquisito capacità migliori», spiega Alessandro Paolinelli che ha curato i rapporti con il Google art institute per i musei civici di Venezia. Questi ultimi, insieme al polo museale romano, gli Uffizi di Firenze e una lunga serie di strutture nazionali, mostrano che ci stiamo muovendo nella direzione giusta, attraverso strategie che mettono la tecnologia al servizio dell’arte.

Nonostante la grande G abbia trionfato, sono tante le proposte sul mercato a disposizione dei musei, che permettono anche di convertire tali servizi in opportunità di profitto. Second canvas, presentata lo scorso anno al Prado è una app per la creazione di immagini ultra-HD. Consente di analizzare i dettagli trascurati sulla tela meglio di quanto facesse il metodo morelliano e permette all’occhio di raggiungere particolari celati oltre le pennellate, laddove un tempo arrivavano solo i restauratori. Un incredibile punto di svolta per il fruitore, un po’ meno chissà per l’artista, che forse avrebbe voluto tenere taciuti i suoi ripensamenti. Ma se l’iperrealtà è più potente della realtà, non c’è il rischio che la prima sostituisca la seconda? E ancora, se possiamo visitare i musei dal nostro divano, non si teme un crollo irrimediabile delle visite? A detta del Maxxi, uno dei punti cardinali dell’arte contemporanea italiana, questo rischio non sussiste. L’immagine digitale non spaventa, perché si può considerare soltanto un’estensione di quella reale, di conseguenza: «non c’è calo delle visite se la comunicazione online promuove un equilibrio tra informazione e coinvolgimento del pubblico, anzi, un aumento della partecipazione a eventi reali». Se c’è chi ancora rimane legato al passato, i dati che affiorano dall’incontro annuale Museums and web conference parlano chiaro, bisogna adattarsi ai cambiamenti e chi si ferma sembra destinato a soccombere. D’altronde, lo stesso Baudelaire affermava che la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, domani.

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