Le foto di De’ Mathà

Valentina De’ Mathà è la protagonista della nuova mostra Flashback, un viaggio tra colori e luci sempre differenti. Abbiamo scelto di affidare all’artista il racconto di questa esperienza.

Ha inaugurato Flashback, mostra accolta alla Nellimya: light art exhibition di Lugano, spazio espositivo dedicato all’arte di luce. Quanto è importate la luce per questo progetto? Vuoi parlarci un po’ del percorso espositivo?

«Si tratta di un’antologica che racchiude una varietà di 34 opere realizzate in camera oscura prevalentemente attraverso sovrapposizioni di sostanze chimiche e fonti luminose su carte emulsionate. La mia ricerca, benché segua un concetto base definito, spazia dalla scultura, all’installazione, al video, dalla pittura alla fotografia e questa tipologia di opere realizzate in camera oscura, compare quasi sempre in ogni mio progetto espositivo, è una costante. Nellimya: light art exhibition, è una galleria che nel corso degli anni si è specializzata in progetti artistici che avessero come componente principale la luce, attenendomi al concetto su cui si fonda, ho deciso di esporre qualcosa che fosse in qualche modo creata con la luce, ma che non fosse visivamente esplicita».

I lavori in mostra hanno un impatto deciso. Puoi svelarci alcuni retroscena del processo creativo?

«Come accennavo, si tratta di opere create in camera oscura attraverso sovrapposizioni di sostanze chimiche, variazioni di temperatura di quest’ultime, dell’acqua e fonti luminose su carte precedentemente emulsionate. Il processo di realizzazione è spesso lungo e complesso, richiede dinamicità ed immediatezza e la giusta sapienza, i giusti tempi. La tecnica è basata sul concetto di causa-effetto e sulla visione dialettica tra gli input che regalo alla materia e la sua capacità di reazione, lasciando però ampio margine a una percentuale di meccanismi non deterministici e sfumature tipici della fisica quantistica, altro punto cardine della mia ricerca. Narrano paesaggi luminosi, fantastici, distorsioni della psiche, epifanie, déjà vu, visioni oniriche e appunto, flashback».

Le tue opere, soprattutto la serie Rorschach, agiscono in maniera differente su ciascuno spettatore, godendo di una realtà mutevole che vive nella relazione con chi le osserva. Quanto è importante il ruolo del pubblico per te?

«Mi affascina ascoltare le percezioni che hanno i fruitori, spesse volte me le raccontano e da lì nascono nuovi confronti. In genere evito di mettere titoli troppo specifici che indirizzano e condizionano troppo chi guarda l’opera, mi piace lasciare sempre ampi orizzonti, affinché ognuno trovi le sue risposte o si ponga le sue domande. Per quanto riguarda la serie Rorschach, di evidente riferimento alle tavole dell’omonimo psichiatra svizzero, è già intriso in esse il concetto assolutamente soggettivo di ”scoprire cosa ognuno di noi ci vede”, di tirare fuori se stesso, ciò che siamo, attraverso la contemplazione di un’opera d’arte».

Guardiamo avanti, progetti futuri?

«Sto portando avanti da diversi mesi un progetto sulla mia Terra natale, la Marsica, e sulla ricchezza della sua storia. Un lavoro ampio e variegato, in continuo divenire e ciò stimola quotidianamente la mia voglia scoprire e riscoprire le mie origini. Questa per ora è la cosa più importante e necessaria».

Fino al 14 dicembre; Nellimya: light art exhibition, piazza Riforma 9, Lugano; info: http://nellimya-exhibition.ch

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