Intervista con Luca Zevi

Roma

«Il motivo per cui ho accettato di diventare il presidente dell’associazione Teveterno è che non ne posso più di vedere una città che spreca occasioni d’oro come questa». A parlare è Luca Zevi, uno dei nomi più autorevoli e interessanti dell’architettura contemporanea, in riferimento al progetto dell’associazione di portare sugli argini del Tevere l’opera Triumph and Laments di William Kentridge. Un’installazione site-specific che si dovrebbe estendere per circa un chilometro sui muraglioni del Tevere nel tratto che attraversa il cuore della capitale (zona castel Sant’Angelo), con le raffigurazioni dei personaggi e delle scene più simbolici della storia di Roma, dalle origini ad oggi. Il condizionale è d’obbligo, perché il progetto si è arenato per via delle solite lungaggini comunali. Ma qualcosa si sta muovendo.

Presidente Zevi, a che punto siete con il progetto Triumph and Laments? «Siamo andati avanti. Kentridge ha finito di studiare il ciclo pittorico e noi, alla luce di alcune osservazioni della sovrintendenza, abbiamo ripresentato il progetto proponendo soluzioni tecnologiche in grado di rendere il meno invasiva possibile l’installazione. Si tratta di tecniche che scongiurano al massimo il rischio di annerimento dei muraglioni. Sono l’idropulitura a pressione controllata, che viene usata quando si lavora sull’edilizia monumentale, e la criopulitura con il ghiacchio, in Italia ancora pioneristica, ma utile a impedire il formarsi della patina biologica che sporca gli argini. Abbiamo sottoposto queste idee alle autorità competenti e la presenteremo presto alla sovrintendenza, nella speranza che finalmente ci diano le necessarie autorizzazioni per permettere a Kentridge di iniziare a lavorare».

Questo dovrebbe rassicurare l’amministrazione per quanto riguarda la tutela degli argini. Ma cosa dire a proposito delle critiche concettuali all’opera? «Su questo non siamo d’accordo, nel senso che un allestimento temporaneo come questo, di tale valore artistico, non può essere contestato nel merito. E poi bisogna anche ricordare che si tratta di un intervento di riqualificazione molto importante, che molto probabilmente avvierà un percorso di recupero generale molto forte».

Gli sponsor internazionali fanno pressione? «Certamente dobbiamo delle risposte anche a loro, visto che questa operazione non è finanziata con soldi pubblici ma solo con fondi privati. È evidente che i nostri sponsor sono interessati a sostenere il progetto nella misura in cui si articolerà in quel tratto del Tevere, che garantisce una visibilità non indifferente».

Come spiega questa condizione di ”emarginazione” del Tevere, nonostante il suo passaggio nel cuore della città eterna? «Ci sono due motivi. Il primo è naturale. Il Tevere, infatti, si gonfia ogni inverno sommergendo le banchine e questo l’ha isolato nel corso degli anni. Ma poi c’è una motivazione anche culturale. Siamo abituati a goderne passivamente e a considerare la sua trascuratezza quasi poetica. Questo spiega perché non abbiamo saputo esprimere la capacità di mantenerne e valorizzarne la portata culturale e artistica».

Quali altri sorprese avete in serbo per valorizzare questo fiume? «Stiamo lavorando affinché Kentridge sia il primo di una lunga serie di grandi artisti a lavorare sulle sponde del Tevere. Vogliamo chiedere la concessione di questo tratto del fiume per organizzare un grande evento ogni anno, o in autunno o in primavera.»

Ci faccia qualche anticipazione. «Dico solo che saranno coinvolti i più grandi artisti del mondo».

Pensa di portare qualcosa della sua esperienza di architetto in questo nuovo incarico? «Il mio interesse per questa operazione è di per sé architettonico: mi sto dedicando a riconsegnare uno spazio magnifico alla vita culturale e sociale della città».

Un grande luminare si mette in gioco per sostenere la cultura architettonica a Roma. Cosa manca secondo lei a questa città per farla diventare una grande capitale dell’architettura contemporanea? «Mancano una visione ambiziosa e la capacità di proiettare al futuro questa storia così ricca che abbiamo. Ci siamo accontentati di realizzare a Roma alcune icone dell’architettura contemporanea, ma la scommessa è capire che la città ha un sistema urbano che vive rinnovandosi, altrimenti si atrofizza».

E questa giunta capitolina secondo lei sta assecondando questa mission? «Sotto il profilo urbanistico sto osservando con piacere l’impegno dell’assessorato competente, che ha favorito tra le altre cose, la nascita del progetto Laboratorio Roma, impegnato nelle riqualificazioni sperimentali a costo zero per l’amministrazione, ma solo con fondi privati. Sto curando personalmente questa iniziativa. Siamo partiti da una caserma, da un nodo di interscambio infrastrutturale e da un grande insediamento di case popolari. La sfida è impegnativa, ma stiamo procedendo molto bene. Quanto alla cultura, invece, devo ammettere che l’assessore Flavia Barca aveva dato l’impressione di maggiore incertezza. Se il buongiorno si vede dal mattino, invece, Giovanna Marinelli sta dimostrando, da queste prime battute, competenza e sensibilità. Sono fiducioso».

Quale può essere secondo lei il punto di contatto tra il mondo dell’architettura e quello dell’arte contemporanea? Qual è l’aspetto che lei trova più stimolante in questo rapporto? «È uno scambio contnuo. Negli ultimi trent’anni le architetture sono frutto di una prevalenza netta della dimensione artistica su quella architettonica. Oggi l’architettura con la fine dell’epoca dell’iperconsumo e con l’emergere di fenomeni come la crisi delle classi medie, deve prendere un itinerario più risoluto nell’arginare i disagi della popolazione. Più in generale deve ricreare quel senso di identificazione dei cittadini con la città. La dialettica tra i due mondi è in continua evoluzione, ma oggi l’architettura ha l’esigenza di aprire nuovi spazi per la produzione artistica contemporanea».

Kentridge ha detto in un’intervista recente che Roma è una città dove l’antico e il contemporaneo possono convivere perfettamente. Lei è della stessa opinione? «Nel corso della sua storia Roma è stata preservata e innovata in tutte le epoche. Sono d’accordo con Kentridge: la qualità della città va cercata nella promiscuità tra passato e presente, ma ci deve essere un progetto, altrimenti questo sviluppo avviene in modo squilibrato. Sto lavorando proprio a questo: una grande idea che coniughi conservazione del passato ed espressione del presente».

Info: www.tevereterno.it