Mesa Capella a Roma

Passeggiata al foro romano dalla cassia etrusca, Preambolo di una guerra, Ricordo di una mucca montagna, L’abbraccio degli amanti eterni, L’agonia del tempo, Nel paese delle meraviglie, Amleto la vendetta e Le due torri, sono alcuni dei titoli – narrativi quanto gli stessi lavori – delle opere di Pablo Mesa Capella, in mostra a palazzo Taverna di Roma nella galleria Emmeotto dove, dal 10 al 7 novembre, è ospitata la mostra personale intitolata Natura onirica, la memoria degli oggetti.

Come un abile architetto di ambientazioni oniriche, il giovane artista di Malaga classe 1982, ha racchiuso e combinato armoniosamente sotto campane di vetro, di diverse dimensioni, una sorta di costruzioni scenografiche barocche che si sviluppano in altezza. All’interno, le campane vitree sono popolate da diversi strani oggetti: pelli di serpente, piume, uova di struzzo, centrini, fotografie, ossa, conchiglie e animali impagliati, insetti, carte da gioco, piccoli soprammobili, crocifissi, ecc. In opposizione al razionalismo contemporaneo, Mesa Capella propone un’immaginazione poetica dinamica. Frutto di accostamenti ben calibrati, l’artista costruisce scenari che suggeriscono storie che possono sovrapporsi, intrecciarsi e delle quali la lettura non è mai univoca ma rimane soggettiva.

Non è la prima volta che l’artista utilizza piccole fotografie d’epoca ingiallite dal tempo, qui sono scatti che ritraggono persone anonime di diverso genere nei momenti più disparati della loro vita. Le silhouette di uomini e di donne sono stati ritagliati e scissi del contesto d’origine che li ospitava per andare ad abitare altri mondi e diventare protagonisti di altre storie all’interno delle campane vitree. Questa serie di lavori vogliono essere per il visitatore dispositivi per la creazione di storie. Proprio a partire dall’osservazione delle campane nasce infatti da un’idea dell’artista il particolare catalogo sviluppato per la mostra. Critici, storici dell’arte e curatori hanno scritto ognuno un testo su una delle campane, andando a comporre un libro da scoprire e leggere pian paino. In mostra sono presenti anche diverse installazioni che insistono nella stessa linea di ricerca attenta alla memoria personale e inconscia. Per Album sospeso – che accoglie lo spettatore all’ingresso della galleria– l’artista ha legato con un filo rosso tutte le piccole fotografie dalle quali aveva ritagliato le figure per gli altri lavori, dando la possibilità a chi le osserva, di immedesimarsi in quegli attimi di vita bloccati, mettendosi al posto dei vuoti lasciati dai soggetti ritratti.

Ci si può perdere metaforicamente (come già probabilmente ha fatto l’artista) nella lirica installazione dell’ultima sala. In Bosco in natura morta mutandis foglie vere ancora verdi saranno soggette a un lento naturale invecchiamento diventando archeologia e lo spettatore che nell’osservarle si rifletterà sui piccoli specchi non potrà far a mano di pensare all’irrefrenabile passaggio del tempo. Nei lavori di Mesa Capella l’immagine poetica emerge da un archetipo assopito nella profondità dell’inconscio, ma come sottolinea Gaston Bachelard nel suo testo ”La poetica dello spazio”, questo meccanismo non avviene casualmente e così nelle sue campane si intrecciano personali esperienze vissute, il passato culturale affiora tra sacro e profano e le suggestioni si stratificano. Una mostra dove è tutto magistralmente orchestrato dall’artista che ancora una volta non cerca di occultare la sua indole teatrale, registica e scenografica, dimostrandosi così attento e preciso nel lavoro fino all’allestimento finale della messa in scena.

Fino al 7 novembre, galleria Emmeotto,via di Monte Giordano 36, Roma; info: www.emmeotto.net