Giuseppe Penone a Firenze

Giuseppe Penone, nato a Garessio nel 1947, vive tra Torino e Parigi – varca le prestigiose soglie del Forte di Belvedere e del Giardino di Boboli di Firenze con Prospettiva vegetale, donando una suggestiva nuova visione del rapporto tra gli elementi, tra la storia dei luoghi e il futuro dei paesaggi, l’azione dell’arte e la cornice architettonica. La Natura rimane al centro del progetto espositivo, ideato da Sergio Risaliti, curato da Arabella Natalini e Sergio Risaliti, come da sempre nella ricerca artistica di Penone, che utilizza molteplici materiali, da quelli banalmente anticonvenzionali protagonisti dell’arte povera, alle materie classiche della tradizione scultorea come legno, bronzo, marmo. Il risultato è al contempo semplice e stupefacente: arte e paesaggio respirano all’unisono, al ritmo di una fresca meraviglia. Gli occhi inglobano nuovi scenari, trasformati da presenze altre, ma perfettamente incorporate e integrate con gli spazi originari.

Dopo i successi ottenuti con la mostra realizzata nei giardini della Reggia di Versailles e l’installazione delle opere permanenti alla Venaria di Torino, Penone rende possibile una sinergia artistica e naturale senza precedenti tra due sedi storiche del territorio fiorentino: dalla salita del Forte di Belvedere e dai suoi bastioni esterni, fino a scendere di nuovo verso il centro della città, seguendo gli snodi del Giardino di Boboli, l’artista ridisegna il volto del panorama fiorentino con opere che ne diventano nuovo complemento, come veri e propri alberi innestati nel terreno e marmi fioriti improvvisamente sotto gli occhi meravigliati del visitatore. Un percorso espositivo che stravolge i percorsi abituali, ma che ne rivela una più intima e mistica identità. Un’occasione di riscoperta e ri-creazione che trovano nella scultura di Penone una nuova primavera.

«La distinzione tra l’uomo e le altre cose non esiste», dichiara lo scultore: siamo tutti parte della stessa vita, hic et nunc, espressione di un medesimo linguaggio che si sviluppa via via attraverso il contatto reciproco, che si plasma creando nuovi armonici equilibri negli spazi aperti, dove la Natura è se stessa e l’uomo può darsi forma attraverso le sue azioni. «Il percorso delle opere che espongo a Firenze nasce dalla considerazione dei luoghi – illustra Penone durante un’intervista con la curatrice Natalini – non si può entrare in un luogo senza cercare di capirne la natura, lo spazio e le intenzioni che lo hanno creato. Ora Boboli è un luogo che ha una memoria unica, un luogo che è nato da una cultura e da una comprensione del mondo straordinaria e che ha determinato la cultura mondiale. (…) Ho posto in quel luogo un albero verticale che sostiene una sfera di foglie, la forma delle foglie che l’albero espone al sole… La sfericità è essenziale per la vita dell’albero e la sfericità del granito, che è al di sopra trattenuto dai rami, suggerisce l’idea del peso e della forza di gravità. Questi due elementi credo che trovino una corrispondenza con il luogo e gli elementi simbolici che sono presenti, anche se la mia intenzione non è puramente simbolica. Questa è un’opera che dialoga con un concetto di giardino, con un concetto di esposizione, di memoria, di elementi vegetali e minerali organizzati, questa è la funzione di quel giardino; c’è la memoria di tante idee e tante forme di pensiero che appartengono alla storia dell’uomo, non soltanto al Quattrocento. (…) Rispetto a Boboli il Forte ha un carattere diverso, i suoi bastioni ostentano ed esaltano la sua posizione dominante sulla città, non è come Boboli un luogo di raccoglimento, è uno spazio che ha l’arroganza della sua visibilità. Questi due caratteri del percorso permettono una diversa possibilità di esposizione e di scelta delle opere. I cinque alberi di bronzo che si ergono sui terrazzamenti del Forte sono opere nate da una riflessione sulla tensione esistente tra la forza di attrazione della luce e la forza di gravità, ma in questo luogo assumono un senso di drammaticità che è provocato dalla violenza che la struttura militare racchiude. L’Albero folgorato ne è l’esempio più forte, ma anche gli alberi che sorreggono le pietre possono suggerire una testimonianza di presunte azioni violente. Si contrappone a queste opere Spazio di luce che, con la sua orizzontalità, suggerisce l’osservazione, il progredire dello sguardo nello spazio che sovrasta la città, una progressione orizzontale che si contrappone alla crescita verticale dell’albero». Infine, un appello al ‘libero abbandono’ per vivere e non dimenticare quanto si prova e quanto l’arte dei, e nei, luoghi riesce a regalarci: «Lo stupore è una condizione fondamentale nell’espressione. Lo stupore, l’inatteso, il mistero, suscitano in noi l’interesse e il desiderio di capire. (…) Lo stupore che è legato all’opera è l’inatteso, l’aspetto non visibile e rivelato della realtà che ci circonda, e questa è un po’ la funzione dell’opera, che si tratti di un’opera di scrittura, di pittura, di scultura o di musica. Lo stupore è anche una fonte di memorizzazione, ci si ricorda molto bene delle cose che ci stupiscono. (…) La meraviglia secondo me è fondamentale per la costruzione del linguaggio dell’arte, del linguaggio visivo ma non solo; aiuta a memorizzarne il ricordo».

Fino al 5 ottobre, Firenze, Forte di Belvedere e Giardino di Boboli; info: www.comune.fi.it

 

 

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