Lo Strega si fa Piccolo

È la cronaca d’una vittoria molto annunciata quella che fa stappare a Francesco Piccolo il boccione dello Strega numero 68. Ingollando giù giù, fino ai 140 voti finali, il giallo liquido della vittoria davanti alla faccia gialla di scorno di un rivale mai davvero entrato in partita, Antonio Scurati, fermo cinque misure sotto. Che, presidiato con la sua direttrice editoriale Elisabetta Sgarbi e l’onnipresente Vittorio il tavolo di sottopalco della Bompiani, a un passo da quella vittoria sfiorata e sfuggita ancora una volta, sibila quando capisce d’essere di nuovo secondo: «Andiamo via, che ci stiamo  a fare qui?». Come nel 2009 contro Scarpa, sempre battuto da Einaudi, ma allora per un voto. Ancora una volta, una maledizione, e a poco vale che Paolo Mieli ne decanti la «dignità e il coraggio» per averci riprovato. Il padre infedele – solido ma ombelicale e un po’ a ricalco del precedente Il bambino che sognava la fine del mondo – era e resta secondo, come all’ingresso in cinquina a casa Bellonci. Battuto lì da Giuseppe Catozzella, l’editor Feltrinelli che s’è scolato lo Strega giovani ma al ninfeo s’è fermato al quarto posto, sfiorando la cinquantina di voti e lasciando la sua casa editrice ferma a quattro premi vinti dalla nascita del concorso, nel ’47. Eppure ci avevano sperato in molti, stavolta, che con Non dirmi che hai paura, la sua storia di Samia, la vicenda narrata in prima persona di una bambina somala che sogna le Olimpiadi e vede infrangersi ogni speranza davanti a un muro d’acqua alle soglie di casa nostra, potesse trovare un approdo più dignitoso, nei giorni e nelle notti dei migranti che si riversano in massa sulle nostre coste, come ogni anno.

Roba troppo distante, troppo cruda rispetto al bel mondo ovattato e stracotto che si riversa a Villa Giulia una volta l’anno per il premio più celebrato del Belpaese, il solo che abbia ancora un senso, di vendite se non letterario. L’unico evento che riesca a far smuovere le chiappe pure ai culi frolli del mondo 2.0, ancorché fermo agli immutati tempi e riti d’un mondo punto zero, come direbbe un giovin signore dei twittatori compulsivi e del neogiornalismo hitech (Simone Cosimi, sue le foto). In una serata romana insolitamente fresca e, checché ne dicano i bene informati, meno affollata del solito, al punto da lasciare inaspettati varchi al buffet, Piccolo ha vinto, insomma, come da prassi e nessuno ne gioisce o se ne stupisce più di tanto. Bella storia, la sua, anche se autoreferenziale e ombelicale come di gran voga nell’ex paese più bello al mondo, ma certo Il desiderio di essere come tutti è un libro in cui può specchiarsi lo Stivale, col tessere le lodi alla superficialità che lo rappresenta vista attraverso gli occhi di un cinquantenne che cresce politicamente con Berlinguer e perde la purezza con Berlusconi. Di Renzi si tace, per amor di patria e carità (demo)cristiana.

Nessuna partita, come da copione, per la candidata di bandiera della Mondadori Antonella Cilento, ché troppo s’è abbuffata di Strega la casa patronessa del premio in questi ultimi anni, e con Piccolo e l’Einaudi si resta comunque in casa. Buon ultimo con 30 voti, Lisario o il piacere infinito delle donne è un libro picaresco come la sua autrice, racchiusa in un completo arancione con tanto di ventaglio in tono, con la gioia di esserci e nulla più. Una gioia ben dissimulata invece da Francesco Pecoraro, forse la vera novità della serata, che dinoccolato e casual si lagna della stanchezza per una serata ultramondana che non fa bene alla salute ancorché alle vendite. Buon terzo, La vita in tempo di pace ha raccolto una sessantina di voti, forse più di quanto previsto da Ponte alle grazie, facendo lanciare urla di gioia dal tavolo della casa editrice. Romanzo potente e corposo, libro di popolo e non d’addetti ai lavori che rispecchia anch’esso questo nostro tempo di crisi che non ha fine né pace e non avrebbe sfigurato di vincere ma sul podio e arrivato. E va bene così, che chi s’accontenta gode anche se chi gode è più contento. Ad majora.

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