Si parte con Manifesta

San Pietroburgo

A San Pietroburgo è tutto pronto per la decima edizione di Manifesta. Tra adesioni e ritiri, crisi e risalite, leggi e divieti improbabili, delusioni e accesi entusiasmi la Biennale itinerante d’arte contemporanea più famosa d’Europa è pronta a cominciare.

Nata all’inizio degli anni Novanta, all’indomani della fine della guerra fredda, la rassegna nomade si svolge ogni due anni in una città europea diversa, con scenari culturali e politici sempre nuovi. Quest’anno, divisa tra il palazzo dello Stato maggiore, un’ala recentemente restaurata del museo dell’Ermitage e il palazzo d’Inverno, antica residenza invernale degli zar di Russia, Manifesta punta a inserire l’arte contemporanea in un contesto insolito, impregnato di storia e rivoluzioni, un contesto difficile anche per gli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto e stravolto il governo russo e, con esso, la sfera culturale in toto. «In certi momenti, era come un dilemma shakespeariano: dovremmo andare via? Dovremmo restare?», ha confessato Hedwig Fijen, direttrice di Manifesta 10 che ha da sempre dimostrato entusiasmo per la scelta di San Pietroburgo come sede ospitante della Biennale: «Abbiamo scelto di operare all’interno di aree contrastate, al di fuori del sicuro rifugio dell’Occidente, perché crediamo che l’arte offra una prospettiva di riflessione alternativa. In un momento in cui tutto tende ad essere letto attraverso una lente geo-politica, l’arte è lì per fornire le sfumature. Biennali come Manifesta dovrebbero svolgere un ruolo vitale nell’aiutarci a comprendere meglio il nostro posto in questo mondo».

In mostra un numero relativamente modesto di artisti, noti e meno noti, rappresentati però da una minuziosa e significativa selezione di opere. Ne viene fuori una gamma diversificata di posizioni contemporanee: alcune caratterizzate da forti dichiarazioni politiche, altre ricche di elementi critici insiti nelle opere stesse, altre ancora per la capacità di promuovere una fertile discussione artistica. Cinquantacinque artisti internazionali tra i quali spiccano nomi come Joseph Beuys, Louise Bourgeois, Mike Kelley, ma anche un consistente gruppo di nazionalità russa. La rappresentanza italiana, invece, è tutta al femminile, con Paola Pivi, alla seconda partecipazione alla Biennale e Lara Favaretto che espone una grande installazione all’interno delle gallerie di antichità italiane dell’Ermitage. Alcuni partecipanti, nel caos delle polemiche, se ne sono andati: Chto Delat, un collettivo di artisti, critici e filosofi russi, già a marzo aveva annunciato il proprio ritiro dalla Biennale insieme all’artista polacco Paweł Althamer. Altri, invece, sono rimasti facendo del tumulto politico, sociale e culturale una fonte di ispirazione: l’ucraino Boris Mikhailov, ad esempio, ha dedicato il suo lavoro alle proteste che hanno scosso piazza dell’Indipendenza di Kiev all’inizio di quest’anno mentre la pittrice sudafricana Marlene Dumas ha creato una serie di ritratti di inchiostro e matita raffiguranti noti personaggi gay e storiche icone bisessuali, in barba alle assurde leggi omofobe degli ultimi tempi. Una mostra ma non solo: dibattiti ed eventi organizzati fuori, nella piazza del Palazzo, con un elenco di artisti estremamente vario, un ricco programma pubblico curato da Joanna Warsza che ribadisce quanto l’arte sia «necessaria se si ha una pretesa di impegnarsi in modo critico con le complessità e i conflitti del nostro tempo».

Difficoltà e dubbi a parte, Manifesta comincia e Kasper König, il curatore, ammette di non avere rimpianti: «Ho subito detto di sì, ma non ero sicuro di vincere. Era più come una cosa mentale, come quando vuoi fare un omaggio al compleanno di qualcuno. È più un’espressione di gratitudine».

Dal 28 giugno al 31 ottobre, museo dell’Ermitage, San Pietroburgo, Info: manifesta10.org