Parla Enrico Crispolti

Quando si ha la fortuna di fecondare un innato talento critico e un vorace desiderio di conoscere la contemporaneità con gli insegnamenti di un grande maestro come Lionello Venturi, allora si arriva col tempo a fare scuola, e si diventa Enrico Crispolti. Il critico romano, storico d’ arte e curatore di mostre è stato protagonista dell’ottavo appuntamento dei Martedì critici del Macro di Roma. In un’amabile conversazione, con dovizia di aneddoti, riflessioni e visioni di futuro, ha raccontato la sua lunga carriera, rispondendo alla staffetta di domande di Alberto Dambruoso e Guglielmo Gigliotti. La passione per l’arte contemporanea è vocazione precoce: la madre ricorda che il piccolo Enrico, visitando una mostra, espresse il desiderio di studiare le opere del suo tempo. Ha insegnato storia dell’arte per 40 anni; ha fondato e diretto la Scuola di specializzazione in Storia dell’arte di Siena, formando un’intera generazione di esperti d’arte; ha scritto numerosi saggi, cataloghi e monografie; continua oggi a ideare mostre memorabili dedicate alle opere del Novecento e dei nostri giorni con un metodo critico originale e al contempo rigoroso. Crispolti passa alla storia come uno dei più grandi studiosi del Movimento futurista, redigendone il Catalogo Universale e contribuendo a sdoganare i suoi esponenti dal riduttivo binomio fascismo-futurismo. Da critico militante è cultore della poetica Informale, arte provocatoria fiorita nel secondo Dopoguerra, in cui materia e gesto artistico in sé diventano protagonisti di un’opera ed espressione del “caos primigenio”.

Fu interprete di Lucio Fontana, curando il Catalogo generale delle sue opere e intrattenendo con lui uno scambio epistolare pieno di amicizia e ironia. Durante la conversazione al Macro memorie personali si fondono con riflessioni storiche. Crispolti da giovane giocava a calcio e faceva il portiere: «Esercitarsi a parare un pallone in campo è funzionale anche all’attività di critica, perché la presa è importante» Inevitabile un passaggio sulla cosiddetta Avanguardia: «Oggi si può essere d’avanguardia programmaticamente, ma la condizione indispensabile è staccarsi dal gruppo per andare in avanscoperta verso l’ignoto, scoprire qualcosa che gli altri ignorano. Spesso gli artisti odierni non ne hanno il coraggio, ma se si perde questo antagonismo diventa solo una forma di ingresso in società». In Italia una pletora di appassionati esibisce la carta d’identità di curatore, pur essendo inadeguata, lontana dal concetto originario anglosassone di curatela: per costruire una mostra serve un’idea forte di fondo e molta competenza, «lo studio dell’arte contemporanea non solo usa le fonti, ma costruisce le fonti».

L’esortazione ironica di Crispolti per i curatori improvvisati è cura te ipsum. Illuminanti riflessioni al riguardo sono nel saggio Come studiare l’arte contemporanea edito da Donzelli. Stimolato dai moderatori del Macro lancia strali: «La critica italiana ha avuto un virus da combattere, ossia l’università di Flash art, che la ha posta al servizio della pubblicità», in un lavoro di divulgazione segnato da un certo “facilismo” che ne ha determinato il degrado. Ribadisce che l’apertura al nuovo della contemporaneità deve sempre affiancarsi a un solido metodo di ricerca storica. E ancora :«Il mercato d’arte è un veicolo culturale importante, ma solo se è creativo». Un tempo, nel Belpaese, lo Stato aveva a cuore la centralità della cultura come patrimonio della collettività da tutelare e la politica se ne occupava come risorsa della nostra identità, «oggi i beni culturali sembrano diventati dei vecchi in fin di vita da curare». L’archivio Crispolti di arte contemporanea è il più grande mai creato in Italia da un privato, dichiarato nel 1992 di interesse nazionale e sottoposto a vincolo dalla Soprintendenza ai beni archivistici e librari del Lazio. Raccoglie, a partire dagli anni ’50, cataloghi, pubblicazioni, documenti rari, fotografie, video e carteggi. Crispolti, per sostenerne l’impegnativa gestione, ha tentato invano di donarlo al comune di Roma o ad altra istituzione, ma è stato costretto a trasferirlo in via Livenza, abbandonando la storica sede di via Ripetta, vero e proprio luogo di culto, famoso per le sue Vetrine al civico 130 e 131, trasformate in finestre sul mondo e spazi espressivi aperti a tutte le declinazioni dell’arte contemporanea.