Incidenti di percorso a Viterbo

Numero perfetto, il tre, per la cabala e non solo. Meno per la Biennale d’arte creativa che ha aperto i battenti il 24 maggio e si conclude il 14 giugno a Viterbo. Un evento che, sebbene alla sua terza edizione, appunto, ha dovuto pagare lo scotto di una organizzazione deficitaria, a dispetto di una sede storica di tutto rispetto e di un progetto dal potenziale enorme per la città e la regione. Diversi luoghi della cittadina sono coinvolti dall’iniziativa, dal museo delle ceramiche di palazzo Brugiotti alle ex chiese di San Salvatore e di San Tommaso, al museo dei facchini di santa Rosa, per finire al museo del Colle e al palazzo dei Papi, messo a disposizione dalla curia. Cuore identitario della città che con la sua imponente e unica struttura duecentesca ben si sposa, a contrasto, con le opere d’arte contemporanea esposte. Di buon livello, con punte di eccellenza, anche il centinaio di artisti coinvolti, dei quali merita citarne almeno alcuni: Annalù, Aquilanti, Bongiorno, Cascella, Ceccobelli, Dormino, Fogli, Losvizzero, Mandich, Manzoni Porath, Montani. Un evento, insomma, di tutto rispetto che merita senz’altro considerazione, se non altro per il coraggio di voler inserire una cifra contemporanea nella medievale città dei papi, in un contesto sociale e politico tutt’altro che attento a tali dinamiche culturali.

Spiace pertanto che parecchio sia andato storto, e se qui lo riassumiamo non è per puntare l’indice sulle mancanze piuttosto che sui meriti, ma per evitare che tali inadeguatezze inficino le potenzialità di un evento necessario alla città e la buona volontà degli artisti che vi partecipano, a titolo oneroso più che gratuito. Alcuni dei quali, scoraggiati dalle difficoltà, hanno ben pensato di ritirare le proprie opere dalla rassegna. E non certo per il problema maggiore, verificatosi alla vigilia dell’apertura: l’allagamento dei sotterranei dov’era prevista buona parte dell’esposizione, nelle sale di Alessandro IV, con ritardi e difficoltà che hanno provocato via via slittamenti e disagi a catena. Eppure, forse, con un pizzico di inventiva e tempestività, turata la falla molte delle opere esposte sarebbero state perfette anche in una location “lagunare”. Pensiamo alle Pescolle di Ceccobelli, ad esempio, alle sculture di Fogli o al Libro della tempesta di Annalù. Contestualizzazioni e imprevisti a parte, ci si è trovati di fronte a opere collocate là dove non avrebbero dovuto essere – vedi il Keloide errante di Mandich nel loggiato di San Tommaso, per di più non illuminato per non disturbare (?) con la sua mole l’incombente Farfalla d’altro artista. Didascalie assenti oppure scambiate (peraltro bastava girare la targhetta riciclata e oplà). Artisti invitati all’ultimo momento al punto da non essere inseriti in catalogo (Bongiorno), altri presenti nei due volumi – peraltro di dubbia qualità – con l’opera ma non con la scheda biografica (Montani). Per non parlare della scelta, più che dubbia, di collocare opere di artisti attivi da tempo e più o meno storicizzati con allievi d’accademia, al punto da ingenerare nello spettatore un senso di generale smarrimento. Perché poi coinvolgere direttamente nella curatela artisti esposti? Non si ha vita se non si sceglie una vita, avrebbe detto il povero Pasolini.

Tutto ciò ha denotato, insomma, l’assenza di ogni criterio curatoriale e la latitanza di una comunicazione mediatica e cittadina degna di questo nome e più in generale una sciatteria organizzativa ben rappresentata dalla stortignaccola locandina pendente accanto al loggione papalino, retta dalla cinghia d’una tapparella. Dulcis in fundo, spiace davvero dirlo, il rimpallarsi di responsabilità tra la presidente Laura Lucibello e la direttrice artistica Giovanna Caterina De Feo, con il vescovo a fare da paciere, non ha aggiunto tono al vernissage. Tralasciamo infine il nome, biennale d’arte creativa – esiste forse un’arte che non sia tale, reiterazione dell’abusato termine biennale a parte? – il logo semicancellato e il colore, un bel fucsia papalina, scelti per un evento, ripetiamo, dalle ricche potenzialità. Peccato. Ma, forse, andrà meglio la prossima volta, se si saprà fare tesoro degli errori commessi e considerare questa III edizione un superabile incidente di percorso. Viterbo e gli artisti coinvolti lo meritano.