Prato contemporanea

Per tre giorni la città di Prato si è trasformata in un contenitore ricco e ricettivo di arte contemporanea. La vocazione del territorio al linguaggio artistico è da sempre riconosciuta grazie alla presenza nel tessuto cittadino di uno dei più importanti musei nazionali dedicati al contemporaneo: il centro per l’arte Luigi Pecci. Prato è divenuta il contesto privilegiato di installazioni, da sottolineare l’intervento dell’artista finlandese Kaarina Kaikkonen, perfromance e apporti espositivi istituzionali. All’interno delle varie manifestazione una matrice fondamentale si è innescata grazie alla presenza di lavori legati alla street art: Lucamaleonte, Tellas, Moneyless, 108, Mo2, Lo Gnob sono stati i protagonisti nella riqualificazione architettonica del Bastione delle Forche. Accanto a questi interventi Danilo Bucchi, Veronica Montanino e Cristiano Petrucci sono riusciti a confrontarsi con un campo differente dal loro canonico lavoro riuscendo a dialogare con la città e con dimensioni più ampie da sfidare. La curatela di Gianluca Marziani ha condotto gli artisti a confrontarsi in campi diversi ed eterogenei eliminando qualsiasi tipo di classificazione storico artistica che spesso ghettizza gli interventi urbani dalle classiche esposizioni museali o da galleria. Abbiamo incontrato il curatore in occasione del vernissage di Prato contemporanea cercando di comprendere quale matrice concettuale ha determinato gli interventi presenti nella rassegna.

Prato contemporanea è una manifestazione che ha visto protagonista, tra i tanti eventi in programma, l’interazione della street art nel tessuto cittadino. Cosa significa proporre un linguaggio urbano in una città di provincia?

«L’intervento in provincia è uno degli aspetti più stimolanti del lavoro nel contesto urbano, in realtà, come quella di Prato, c’è un’aspettativa, un’energia e una tensione che nelle grandi città tende a scemare nella variegata quantità di proposte che si sovrappongono. In provincia il pubblico è più ricettivo e attento, il tessuto territoriale accoglie e interagisce con i progetti proposti in modo più sensibile e interessato, permettendo di disegnare un evento nella sua interezza. Nella metropoli tutto questo diviene impossibile, se penso a un territorio come quello di Roma è persino impensabile intervenire su un solo quartiere. Nel caso specifico della città di Prato gli aspetti storici e contemporanei del luogo sono strettamente connessi alla cultura del manufatto tessile che rende questo contesto un luogo ricco di proposte, basti pensare al rapporto che da sempre Prato ha intrapreso nei confronti del linguaggio contemporaneo. Il museo Pecci è l’esempio di questa interazione, un’istituzione di grande livello che inaugurerà presto una serie di nuovi progetti in cui si inserisce anche la street art che ha l’obiettivo di procedere verso un percorso di continuità».

Sono diversi e molteplici gli interventi urbani che in questi giorni hanno arricchito Prato, la street art, in particolar modo, è stata declinata in maniera eterogenea laddove sono scesi in campo artisti non propriamente in linea con il movimento urbano, quale è stata la scelta predominante in questa metodologia progettuale dell’evento?

«Da sempre lavoro sul concetto che ciò che viene definito street art tende a diventare un contenitore chiuso in categorie fuorvianti, lo definirei un ghetto al contrario dove da una parte vi sono gli artisti in senso canonico e dall’altra gli street artisti. Non credo che tra gli uni e gli altri vi sia una sostanziale differenza, certamente è diverso l’approccio rispetto al contesto che si risolve in termini di materiali e di dimensioni a causa della relazione con lo spazio circostante ma in realtà i linguaggi urbani contemporanei sono più affini ai termini canonici dell’arte piuttosto che a quel fenomeno rabbioso e meno allineato del linguaggio delle tag. Non mi interessa quell’uso della città disordinato, ciò che mi coinvolge è l’uso della città come fosse un quaderno, un foglio bianco, artisti come Lucamaleonte e Sten&Lex rappresentano casi a tutto tondo che dialogano perfettamente con gli spazi di un museo e che sanno utilizzare il contesto urbano. Nel caso di Prato contemporanea gli interventi di Veronica Montanino, Danilo Bucchi e Cristiano Petrucci seguono un percorso differente, Petrucci, in particolare, nel suo lavoro in via Pier Cironi, ha sviluppato un ibrido coerente tra il contenitore urbano e il contesto della galleria dove l’opera si confronta con delle dinamiche diverse. Secondo la mia visione si è assottigliata la forbice che esisteva una volta tra l’artista canonico e lo street artista, vorrei che si cominciasse a pensare non più al discorso urbano come mera classificazione giornalistica ma piuttosto a un discorso congiunto a ciò che è avvenuto con il fenomeno della land art».

Che differenza risiede tra gli interventi ambientali tipici di artisti come Christo e De Maria a ciò che sta nascendo oggi con la street art?

«Trovo che esista molta più affinità oggi tra gli urban artist e gli artisti che lavoravano sul paesaggio, come ad esempio Richard Long, rispetto al fenomeno dei graffiti degli anni ’70 e ’80 dove vi era un approccio completamente diverso. L’artista urbano che opera nella contemporaneità è legato all’invenzione dello spazio, alla conquista del territorio. Esiste una metodologia, un contesto e un confronto di scambio, l’illegalità è una componente svanita nella street art, questo discorso va avanti con le istituzioni, con i comuni e con i privati cittadini. Oggi gli artisti utilizzano la città come un diario di appunti visivi, vi è un legame stretto con l’approccio di Christo e della generazione della Land Art. Il fenomeno urbano ha un rapporto ridotto al minimo con la matrice lettering formatasi nelle metropoli di New York, Parigi e Berlino, dove la tag era una sorta di metrica visiva, una volontà di firmare i luoghi dandone una connotazione propria. Oggi il concetto non è più marcare un territorio, il pensiero fondante è instaurare un dialogo con la realtà storica circostante come è avvenuto per gli interventi di Prato. Gli artisti sono partiti dalla memoria etrusca cittadina, da una serie di caratteristiche legate alla cultura del tessile, lo scopo era creare delle storie di connessione. Nel caso invece degli apporti di Veronica Montanino e di Danilo Bucchi il processo è stato inverso: due artisti che normalmente si confrontano con la dimensione del quadro si sono trovati immersi in un lavoro dalle dimensioni più ampie». Esiste dunque una generazione artistica estremamente interessante che non ha bisogno di alcun tipo di classificazione».

Il processo democratico della street art pone però alcuni quesiti, il primo è sicuramente il rapporto con il pubblico: è sempre un bene che un linguaggio artistico si appropri di un territorio che appartiene anche a chi non ha gli strumenti per comprendere un intervento urbano?

«Non credo che l’arte sia un linguaggio democratico, anzi credo che necessiti di codici e di strumenti che presuppongono almeno un minimo di sensibilità avanzata. Non può essere paragonata ad esempio a una partita di calcio che mette insieme tutti, ma allo stesso tempo credo che l’arte abbia bisogno di riavvicinarsi alla gente in termini di approccio e di comunicazione. Sono convinto che il linguaggio della street art possieda la forza di stimolare le persone, di avvicinarle verso un percorso che innesca la curiosità di conoscere e capire. In Italia viviamo in mezzo alla pittura, i paesaggi italiani sono estremamente pittorici, il problema è che da 30 anni a questa parte la gente è stata anestetizzata dal linguaggio televisivo che ha abbassato sempre di più il livello medio culturale. C’è bisogno di crescita e questo percorso aiuta concretamente ad accendere il proposito di uscire da un torpore che avvolge la nostra società».

Cosa manca all’Italia per entrare nell’asse dei paesi internazionali più evoluti nel linguaggio contemporaneo?

«In Italia esiste tutto: i luoghi, le persone e soprattutto artisti concorrenziali con qualsiasi realtà internazionale. Quello che manca, ed è ormai chiaro, è una qualità connettiva del tessuto istituzionale, una classe politica governativa che sostenga i valori culturali e che riconosca la differenza tra moderno e contemporaneo. La classe dirigente ha bisogno di affidarsi a chi conosce e ha gli strumenti per valorizzare la contemporaneità, è necessario un sostegno alla cultura in termini economici e strutturali».

Prato Contemporanea, info: www.prato-musei.it

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