Giovanni Sesia

pavia

Occhi e volti che raccontano storie. Storie drammatiche di miseria, solitudine, disperazione, abbandono. Nel segno della memoria scava negli animi e nelle pieghe della pelle di un’umanità disperata e reclusa. Sono ritratti psicologici quelli che sfileranno da venerdì 7 marzo 2014 (inaugurazione ore 18) nello spazio per le Arti contemporanee del Broletto di Pavia: immagini prese dagli archivi fotografici dell’ospedale psichiatrico di Novara (1875-1978), che con abilissima maestria Giovanni Sesia ha fatto sue, riscrivendole e traducendo così in segni le membra e i pensieri dei soggetti. L’artista milanese porta alla luce le tracce che eventi e passioni hanno lasciato sul campo e, con le parole scritte e i segni non decifrabili che si intrecciano alle fotografie, ricreate e dipinte, sembra voler restituire voce ai malati. Giovanni Sesia, provando ad andare al di là del semplice fare artistico, cerca con i suoi volti sofferenti di restituire umanità alla follia, di ridarle una voce, una memoria, di aiutarla ad approdare in un porto sicuro dove il passeggero non possa più sentirsi tale, e riesca quindi a riconquistare, un tassello alla volta, la propria identità di essere umano, per troppo tempo relegata a ombra, persa nell’oblio del silenzio e dell’indifferenza. L’artista abbatte le mura del manicomio e prova a ridurre le distanze, costringendo lo spettatore a confrontarsi con il diverso, con la paura di ciò che è altro, e l’inevitabile pregiudizio che si viene a creare. Il risultato è un cortocircuito emotivo: gli sguardi dei suoi sconosciuti come le pieghe dei suoi lenzuoli smuovono vibrazioni che vanno ben oltre il contenuto dell’opera. Ricordare dunque il manicomio, come fa Sesia con il suo lavoro, il manicomio chiuso da trent’anni ma sempre pronto a riaprire, il manicomio come metafora dell’esclusione, può diventare opportunità per riflettere, per dirla con Foucault, sul fatto che ogni società si può misurare dal modo in cui organizza e vive il rapporto con l’altro o, citando Basaglia, che ogni società è tanto più civile quanto più sa riconoscere e dar luogo alla follia che la abita – commenta Domenico Nano, Direttore del dipartimento di salute mentale dell’Asl di Novara.

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