Verso l’iperrealismo e oltre

Quando il talento artistico nonostante «non si accompagni ad un gusto adeguato ai tempi è posto al servizio di un progetto di sguardo, a una visione, allora l’orizzonte si amplia» e si parla di «virtuosismo oltre la maniera» oltre quell’ «adeguamento al pittorico più stantio». Questo l’incipit del testo critico di Cinzia Chiari che accompagna le 4 tele di Valentina Tabacchi, pittrice romana classe 1982, tra gli artisti selezionati per esporre alla prima Biennale della creatività in Italia, dal 12 al 16 febbraio al Palaexpo della fiera di Verona.

«La precisione dei soggetti nei dipinti è la naturale conseguenza di un’inesauribile necessità di competere con la realtà sul piano della visibilità, quadri di immediata lettura, caratterizzati da una perfetta armonia compositiva, ma che suggeriscono altro rispetto al dato fattuale di una semplice fotografia» scrive Chiari. Non si può infatti, parlare semplicemente di iperrealismo nel caso di Valentina, di maniacale descrizione oggettiva della realtà quando, in queste tele, la luce si colora di sensazioni, di stati d’animo o del bagliore di un ricordo che plasma uno scatto in un’immagine interpretata. Un’emozione a olio racchiusa in pennellate delicate, «il colore deve essere ben diluito in modo da non lasciare tracce materiche sin dal primo strato, facendo attenzione ai dettagli e alle velature finali che posso passare 2, 3 o 4 volte fino all’effetto che voglio ottenere, mai coprenti ma fondamentali nella tonalità scelta per veicolare il mio messaggio, per illuminare il quadro, invecchiarlo oppure enfatizzare le zone d’ombra» spiega Valentina arrossendo per un’iniziale timidezza davanti ai nostri microfoni. Tanta curiosità in tasca e una macchina fotografica sempre alla mano, «poi tutto ciò che mi occorre sono pennelli di diverse dimensioni, colori con pigmenti naturali e una tela bianca sulla quale a volte traccio a matita la linea dell’orizzonte per non andare storto, visto che dipingo il quadro a porzioni, partendo sempre dall’alto, a sinistra, dallo strato inferiore per poi arrivare in superficie. Le proporzioni le calcolo a occhio, senza tracciare alcun disegno, così se poi voglio modificare qualcosa posso reinterpretarlo a modo mio».

Sorprende pensare che sia autodidatta, che sia approdata a questo linguaggio partendo dalla voglia di sperimentare le più sfuggevoli sfumature del colore, dalla ricerca di una luce disvelatrice, dalle lunghe ore di studio delle opere di Luciano Ventrone, tanto da essere notata, per le sue doti innate dal maestro stesso. Nel poetico tramonto di Cumuli, la sua ultima fatica e prova più riuscita, il pennello non lascia alcuna traccia, una proprietà della tecnica accresciuta in pochi anni e sempre vissuta come sfida a superare i propri limiti tiene a precisare Valentina.

Educata dal nonno e dalla madre alla sensibilità artistica fin da piccola, imparando a vedere oltre la semplice rappresentazione, in una casa in cui le pareti erano piene dei lavori del bisnonno Renato Profeta, esponente del Futurismo umbro, era forse plausibile pensare che Valentina seguisse le sue origini. Eppure questa sua vena ha trovato sfogo solo un bel giorno quando il marito le ha posto una semplice domanda: «Ma visto che ti piace così tanto e non ne puoi fare a meno, perché non provi a dipingere tu stessa? Cosi, quasi per scherzo o per gioco, ho comprato pennelli e colori e ho iniziato a sporcare la tela».

Fino al 16 febbraio, auditorium del Palaexpo, viale del Lavoro, Verona; info: www.biennaleitaliacreator.it

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