Sessant’anni di Playboy

Nell’inverno del 1953, per 50 centesimi di dollaro, in tutte le edicole americane, ogni individuo di sesso maschile poté trovare un po’ di piacere per gli occhi, acquistando una rivista dedicata esplicitamente al suo intrattenimento, chiamata Playboy. In copertina vi era l’immagine di Marylin Monroe quasi svestita (e di chi altra sennò) e un’allusiva scritta in rosso dava risalto all’aggettivo “nude”.

In origine era il cervo il logo dell’editoriale, ingenua allusione alla caccia come hobby prettamente riservato all’uomo, ma l’anno dopo il cervo si trasformò nel coniglietto che tutti conosciamo. Smoking e papillon, ecco la quintessenza del maschio comune. L’eleganza del proliferante coniglio non bastava come allusione all’operosità dell’uomo nel soddisfare i suoi impulsi erotici: occorreva trasformare il coniglio nel bianconiglio che materializzasse ogni fantasia sessuale maschile. Quale idea migliore che trasformarlo in una playmate? Calze a rete, lunghe orecchie bianche e coda a puff appiccicata sul sedere: ecco l’unico sogno sempreverde e intramontabile, negli anni ’50 tanto come oggi. È così che il Hugh Hefner, che oggi appare come un vecchietto canuto e un po’ marpione, ebbe la geniale intuizione di realizzare visivamente il sogno proibito di metà della popolazione senza far commettere peccato, convertendo Playboy nella rivista erotica cult più conosciuta, il cui logo non è un semplice coniglio, ma un oggetto d’idolatria tatuato sul braccio di molti giovani e impresso sulle tazze da cui bevono i bambini.

Il buon vecchio Hef non ha più trent’anni, ma può ancora festeggiare la sua rivista che ha compiuto da poco il suo sessantesimo compleanno, mettendo la Kate Moss in copertina, e percorrendo le strade di New York su un pullman pieno zeppo di conigliette. Non è stato facile mantenere costante il ritmo delle vendite, visto che anche playboy ha avuto i suoi momenti di crisi, definiti scherzosamente da Hef ‘le guerre pubiche’, in cui altre riviste, come Penthouse hanno temporaneamente scalzato la sua proponendo contenuti sempre più espliciti. Nonostante il principale contenuto erotico di Playboy, Hefner ha tentato di alternare i nudi di donne con altri oggetti di interesse, offrendo articoli di diverso contenuto culturale sul jazz, il design etc., oltre a inserire lunghe interviste esclusive a personaggi pubblici e dello spettacolo. La rivista, inoltre, uscendo mensilmente con una ragazza sempre diversa, ha garantito una varietà di servizi fotografici realizzati da illustri fotografi di moda: nell’ultimo numero, ad esempio, Mert Alas e Marcus Piggott.

Anche le case editrici si sono date da fare per il compleanno di Playboy. Taschen, in particolare, ha pubblicato per l’occasione un’antologia in sei volumi dedicata al successo di playboy, dagli anni d’oro ai momenti di decadenza, in edizione limitata, per un numero di 1500 copie autografate da Hefner. Inoltre i volumi comprendono una vasta selezione di fotografie personali, alcune inedite, dietro le quinte della Playboy Mansion, la gigantesca casa dell’editore che ospitò tra gli anni ’60 e ’70 grandiosi party trasgressivi.

A partire dal mese di febbraio sarà inoltre inaugurata una mostra al Deutsches Architekturmuseum di Francoforte, intitolata Playboy architektur 1953-1979, basata sull’analisi di come la nascita e l’affermazione dell’industria Playboy abbia comportato un cambiamento nella società americana del XIX secolo e nella stessa architettura. La mostra è basata sugli studi della storica dell’architettura Beatriz Colormina dell’Università di Princeton, la quale ha sviluppato una lucida analisi di come le immagini degli spazi domestici che Playboy ha diffuso ai lettori nel corso degli anni, rispecchino in realtà gli scenari contemporanei a cui siamo abituati, quelli alienanti dei centri commerciali o fittizi dei reality show. Playboy si è radicato nella nostra cultura più di quanto possiamo immaginare e il modello di consumo proposto da Hefner è, in fin dei conti, quello che ha trionfato nel passaggio alla globalizzazione e che trionfa tutt’oggi.

Forse per questo continua a piacerci e, d’altronde, quel playboy ottantenne che simpaticamente si fa chiamare Hef, guardandolo meglio potrebbe apparirci incredibilmente familiare.