Voglia tenace di leggerezza

Non è solo il nome di una delle porte storiche di Milano, Porta Venezia, indica anche uno dei quartieri più affascinanti della città. Risale al Medioevo e conserva strutture architettoniche neoclassiche. Considerato uno dei luoghi più vivaci a livello culturale e sociale, è pieno di musei e costellato da importanti gallerie d’arte contemporanea come quella di Giò Marconi, tanto per citarne una. Proprio qui, nel cuore del distretto di Porta Venezia, Giacomo Guidi ha inaugurato la sede milanese. Il giovane gallerista romano -tra i più dinamici oggi in Italia- che in pochi anni è riuscito a imporsi sulla scena del contemporaneo, ha scelto per il suo debutto meneghino gli spazi della ex Fabbri in via Stoppani. A Renata Fabbri è affidata la direzione della nuova attività. La mostra d’esordio, curata da Claudio Libero Pisano, è dedicata a Nahum Tevet, (Kibbutz Massilot, 1945; vive a Tel Aviv), «artista israeliano che in Italia non era rappresentato da nessuna galleria e che per me incarna il manifesto di questo nuovo spazio milanese», afferma lo stesso Guidi.

La mostra propone una serie di opere realizzate da Tevet tra il 2010 e il 2013. Ecco allora, dietro le vetrine della galleria, la sala d’accesso su strada, invasa dalla grande installazione Islands. Qui, imprevedibili accostamenti di superfici e volumi, verticali e orizzontali, pieni e vuoti; repentine variazioni di altezze; audaci utilizzi di materiali diversi, sembrano a prima vista coniugarsi in modo casuale. “Le opere si presentano allo spettatore come agglomerati di oggetti che nell’apparente disordine compositivo esprimono invece una forte regolarità autoreferenziale”, scrive il curatore sul testo in catalogo e prosegue: “Si lasciano osservare come opere finite, nelle quali il caos del momento creativo non ha più alcuno spazio”. Con figurazioni geometriche, l’artista sembra scolpire l’area che contiene le sue creazioni, rifacendosi agli approcci costruttivisti del Bauhaus e al neoplasticismo, liberati però, da ogni freddezza e meccanicità. Rileggendo in modo critico il minimalismo, Tevet esamina e decostruisce i concetti fondamentali di un’arte – intersecata con architettura e design – nel suo posizionarsi all’interno di perimetri prestabiliti. È dentro il confine che può esercitarsi la tensione verso un processo di crescita.

Rimandi teorici e storici suggeriscono peraltro connessioni con le sue radici e con i progetti modernisti di Tel Aviv. Le strutture dell’artista israeliano, quasi città ideali guardate dall’interno, e/o dall’alto; un insieme di oggetti-frammento ridotti all’astrazione nell’incessante ricerca della natura essenziale delle cose, di razionalità assoluta e purezza formale. Nella sala adiacente, i lavori della serie Walking on the wall, riproducono ambienti visti da una prospettiva aerea, in scala ridotta. Si prosegue al piano inferiore con Double periscope, di piccolissimo formato, dove superfici aggettanti ruotano su direttici diverse. E Ancora, Time after time dalla forma più compatta. Il visitatore è via via coinvolto in un’esperienza ludica dove si può liberare la dimensione creativa; mondo percettivo, realtà e costruzioni mentali si fondono. «Viaggiando dentro un’opera di Tevet oggi – afferma Claudio Libero Pisano – quello che maggiormente trascina è la sua voglia tenace di leggerezza».

Fino al primo dicembre; Giacomo Guidi arte contemporanea, via Stoppani 15/c, Milano; info: www.giacomoguidi.it

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