Un nuovo Dylan Dog

«Alcuni mesi fa Tiziano Sclavi, creatore del vostro, e mio, indagatore dell’incubo preferito, ha iniziato a riflettere su come Dylan Dog si fosse evoluto nel corso degli anni, allontanandosi in qualche misura dal suo spirito originale. Ha quindi avviato il rinnovamento della serie, affidando a me il compito di metterlo in moto». Scrive così Roberto Recchioni, romano classe 1974, nella presentazione dell’albo Una nuova vita (numero 325 della fortunata collana pubblicata da Sergio Bonelli editore). Neo curatore di una testata a fumetti che sta attraversando un’importante e inevitabile fase di rinnovamento (e le novità, si sa, non vengono sempre accolte con favore) Recchioni aveva già sceneggiato per la casa editrice di via Buonarroti il volume Mater morbi (numero 280 della collana regolare) pubblicato per la prima volta nel dicembre del 2009. Fin da subito la storia aveva ottenuto una grande attenzione mediatica: in quel periodo, infatti, l’Italia era divisa in due dal dibattito sul testamento biologico dopo i casi Welby ed Englaro; dunque la pubblicazione di questa avventura incentrata sulla malattia aveva fatto scalpore.

Vero e proprio gioiello di narrazione, con le illustrazioni di Massimo Carnevale, Mater morbi viene oggi pubblicata da Bao publishing in un’edizione cartonata di grande formato (144 pagine, 17 euro) corredata da un prologo a colori inedito, bozzetti preliminari e illustrazioni rare. Definita da Recchioni «la storia che in tutta la mia carriera mi è costata più sofferenze», Mater morbi disturba il lettore, tanto la cattiveria e il dolore che emana appaiono tangibili. Già dall’incipit: «C’è stato un tempo in cui avevo un nome. C’è stato un tempo in cui avevo un lavoro. C’è stato un tempo in cui ero un uomo. Qualsiasi cosa questo significhi. Poi le cose sono cambiate. La malattia mi ha cambiato». Trasportato con urgenza in ospedale dopo un malore improvviso, per Dylan Dog inizia un calvario senza fine nel peggiore degli orrori: la malattia. Un male oscuro, reale e tangibile, si è impadronito di lui, straziandolo e consumandolo giorno dopo giorno.

Per l’inquilino di Craven road non sembrano esserci rimedi, se non quello affrontare la creatura che gli sta togliendo la vita, raggiungendola lì dove la sofferenza alberga. Un luogo che si trova al confine con la morte. Particolarmente toccante il passaggio di Dylan nel reparto di terapia intensiva di un ospedale da incubo, descritto come «l’ultimo avamposto prima del grande nulla, dove medici e infermieri non ti guardano nemmeno in faccia ma si limitano a controllare i tuoi parametri vitali su un monitor». E dove «nessuno ti ascolta perché i numeri dicono più verità sul tuo conto di quanto tu possa fare con le parole. Sempre che tu ce la faccia a parlare». La realtà non è poi così distante.

Info: www.baopublishing.it

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