Le sfide estreme di Jan Fabre

“Perché le mie sfide devono essere sempre così estreme? Mi piace essere sospeso tra la vita e la morte. Vivo in uno stadio post mortem della vita”. C’è un senso mistico e religioso che circonda la figura di Jan Fabre, un élan vitale che è frutto di una percezione spirituale dove l’artista e performer belga genera dimensioni inconsce cresciute in seno alla studio e all’uso del corpo quale strumento supremo di espressione veicolare. Stigmata, il progetto espositivo inaugurato il 16 ottobre al Maxxi per il Romaeuropa festival, è una dichiarazione d’intenti, quei segni cari all’agiografia cristiana rappresentano il cammino percorso in più di trenta anni di carriera. Le origini fiamminghe dell’artista costituiscono l’incipit della sua ricerca creativa. Nato ad Anversa nel 1958, Fabre sonda in profondità gli antichi maestri della pittura fiamminga: Bosch, Van Eyck, Rembrandt, Van der Weyden influenzano l’immaginario del performer belga che vede nella crudeltà di un martirio o nella spietatezza di una Crocifissione l’origine del suo lavoro.

Nei disegni realizzati con il sangue nel 1978, a seguito della performance intitolata My body, my blood, my landscape, Fabre attinge a quel repertorio iconografico quattrocentesco esplorando i sentieri più agghiaccianti della carne. Stigmata è un viaggio attraverso un labirinto di tavoli dove è possibile scoprire i progetti, i costumi, gli appunti e i documenti che il performer fiammingo ha costruito durante la sua carriera, una wunderkammern dove sono custoditi gli oggetti più preziosi e che narrano le vicende dell’ultimo degli esistenzialisti. L’excursus espositivo ha inizio con la visione delle tre rappresentazioni intitolate Money, The rea(dy) make of the money e Money (art) in culture datate tra il 1978 e il 1980 in cui Fabre affronta una riflessione critica sul valore del denaro e sull’opera d’arte intesa come merce in vendita. In queste performance il filo conduttore è costituito dalle banconote cartacee che vengono alla fine dell’atto performativo puntualmente bruciate.

L’influenza di Duchamp è molto presente in questa fase creativa, l’omaggio al padre del ready made è un perno focale di questi primi lavori. Nel corso degli anni il performer di Anversa sperimenterà oltre i suoi limiti le reazioni del corpo fino a chiedere ad alcuni critici d’arte di sparargli. Gli scandali e il clamore suscitati dai lavori di Fabre lo hanno reso uno degli artisti più influenti al mondo ma soprattutto la sua notorietà è quella di essere un servitore della bellezza, schiavo fino alla fine dell’arte e del tempo che custodisce attraverso immagini e testimonianze di repertorio opere che fisicamente non esistono e che proprio per questo motivo non possono divenire merce di scambio nel sistema economico che ruota intorno all’arte.

Le performance di Fabre possiedono un forte senso liturgico, l’artista assume i connotati peculiari della figura Christi, l’essenza della sua opera risiede in questo forte contrasto etico e teologico: il martirio della carne, la presenza del sangue, le gesta di flagellazione corporale sembrano denotare la volontà di concedere allo spettatore la percezione del dramma e della distruzione ma che nasconde la recondita sfida di esistere attraverso il pensiero della morte in quel concetto cristiano – cattolico riconducibile al memento mori. Fabre costruisce il suo immaginario non solo cibandosi della religione ma anche attingendo alle scienze: dall’entomologia, assai noto il suo amore per gli insetti, alla neurologia grazie agli apporti teorici del professor Giacomo Rizzolatti, neuro scienziato italiano autore della scoperta dei neuroni specchio, i responsabili dell’apprendimento umano per imitazione. Fabre attraverso gli studi di Rizzolatti ha sondato nelle sue performance la condizione ripetitiva del gesto, proprio nella ripetizione ha sviscerato le componenti autistiche dei suoi lavori rivelando le parti più profonde del suo inconscio. Stigmata rappresenta la testimonianza di un percorso esistenziale, di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca della bellezza, di un’artista che ha sondato sulla sua pelle i drammi dell’umanità consegnandosi senza remore alla storia.

Fino al 16 febbraio, Maxxi via Guido Reni 4A, Roma; info www.fondazionemaxxi.it