Paul Cézanne e i suoi discepoli

“Nulla nella sua pittura è invenzione, tutto è ricerca” scrive di Paul Cézanne Giulio Carlo Argan, un’indagine che vede la tecnica pittorica come mezzo di conoscenza attraverso il quale comprendere le strutture profonde dell’essere. Un’artista che per primo eleva l’esperienza visiva al livello della coscienza fondendo nei suoi dipinti, sensazione e pensiero. L’opera di Cézanne diviene un modello per gli artisti del ‘900: la mostra romana mira a comprendere l’influenza del pittore francese sui grandi creativi italiani del XX secolo. L’esposizione, suddivisa per temi, spazia dai paesaggi alle nature morte, dai ritratti ai nudi, presentando un centinaio di opere provenienti per lo più dall’estero, in particolare dal museo d’Orsay di Parigi, e da istituzioni museali italiane e da collezioni private.

La mostra inizia documentando la circolazione dell’opera del francese nel nostro paese; l’artista è presente nella Prima mostra di impressionismo francese a Firenze del 1910 curata da Ardengo Soffici e nella rassegna a lui dedicata nel padiglione francese nella Biennale veneziana del 1920. Fin dall’inizio del secondo decennio letterati, critici e artisti si occupano di Cézanne sulle pagine della Voce. Soffici intende lo spirito di geometria e la sintesi formale cézanniana come preziose specificità e Roberto Longhi, nel 1914, definisce Cézanne “Il più grande artista dell’era moderna, il cui testamento pittorico potrebbe essere quello di Piero dei Franceschi”. Il percorso procede poi con la rilettura dell’attività dei protagonisti del ‘900 italiano. Nel 1916 il linguaggio di Cézanne diviene per Umberto Boccioni soluzione palingenetica di fronte alle delusioni private e civili. Le prime esperienze del giovane Giorgio Morandi sono calate nel vivo di un sorprendente dialogo con l’artista francese, eletto fin dal 1911 a suo maestro, come documentano paesaggi e figure a lui direttamente ispirati. Carlo Carrà, conclusa l’avventura metafisica, elegge Cézanne, insieme a Giotto, ispiratore della nuova direzione della sua arte, sfociando nella realizzazione dei paesaggi degli anni Venti, spogli e memorabili per intensità emotiva e adesione profonda al dato naturale, legati inoltre all’artista francese sia per la volontà volumetrica e plastica che per la profonda poesia.

Gino Severini, riprende nella distribuzione compositiva e negli atteggiamenti delle figure le opere cézanniane. Anche Filippo De Pisis ha un inizio cézanniano in nature morte che manifestano una precisa attenzione per la costruzione del dipinto, la definizione recisa dei blocchi compositivi. L’opera di Mario Sironi è vicina, da un lato, ai caratteri corruschi dell’opera giovanile di Cézanne, dall’altro ricorda, nelle solenni figure degli anni Venti, di ispirazione classico-rinascimentale, l’intensa acquisizione di uno spazio volumetrico e mentale, tipico in particolare di alcuni ritratti del pittore francese, eseguiti a partire dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento. Felice Carena mostra l’influenza cézanniana nelle nature morte e nei nudi femminili. Felice Casorati è invece profondamente interessato allo sguardo oggettivo e reificante dell’artista francese, da lui accentuato in senso fortemente metafisico. L’influsso del maestro francese si avverte anche nelle opere di Roberto Melli, Franco Gentilini, Corrado Cagli, in quella di Giuseppe Capogrossi quando è ancora legato a un linguaggio figurativo e poi ancora nei protagonisti della Scuola roman”. Si avvicinano infine a Cézanne anche artisti che nel secondo dopoguerra affrontano stilemi astratti o astratto-concreti come Fausto Pirandello che dipinge mele e bagnanti di stampo cézanniano fin dagli anni della sua giovinezza e sarà sempre connotato dall’adesione agli aspetti più impervi dell’arte di Cézanne, disposto, come il maestro, a sacrificare l’idea di una bellezza convenzionale all’individuazione di una drammatica verità.

fino al 2 febbraio 2014, Complesso del Vittoriano, piazza Venezia, Roma; info: www.comunicareorganizzando.it