Antonello da Messina al Mart

Il Mart e la regione Sicilia presentano una mostra dedicata ad Antonello da Messina. Uno dei momenti più importanti dell’attività espositiva del museo di quest’anno. L’eccezionalità delle opere esposte e l’inedita ampiezza cronologica dei confronti proposti rende unico e difficilmente ripetibile tale progetto. Un evento che racconta le basi della pittura e dell’arte stessa. Ci troviamo davanti a un autore di importanza mondiale, dove la realtà storica si mescola con la leggenda, il tutto avvolto dal fascino della scoperta del nuovo, di tecniche ancora oggi basilari e contemporanee. Con Antonello è doveroso inchinarsi, rimanere a bocca aperta, sentirsi nulla rapportarti alle sue opere ma allo stesso tempo fieri del suo genio ed eccitati che oggi sia possibile trovare in unico luogo, in una sola mostra, ciò che secoli e migliaia di chilometri hanno separato i nostri occhi da quest’incanto pittorico. Infatti l’esposizione, a cura di Ferdinando Bologna, Federico De Melis con la collaborazione di Maria Calì e Simone Facchinetti, è realtà grazie a preziosi e generosi interventi di alcune delle più importanti istituzioni culturali come i musei della regione Sicilia, la Galleria Borghese di Roma, i Musei civici di Venezia, la fundación colección Thyssen Bornemisza di Madrid o ancora la National gallery di Washington con due opere della collezione permanente. Inoltre, esposti alcuni lavori non presenti nella recente retrospettiva dedicata ad Antonello da Messina come il Ritratto d’uomo, appena restaurato dal Philadelphia museum of art, il Salvator Mundi della National gallery di Londra, la Madonna Benson custodita nella National gallery di Washington. In effetti è ancora più emozionante se riflettiamo che si parla di un mito che ha riempito con fiumi di inchiostro ricerche e studi sulla sua vita e su ciò che ha regalato all’umanità. Nelle Vite di Giorgio Vasari, nelle due diversi edizioni del 1550 e del 1568, la vita di Antonello da Messina è raccontata come un romanzo. Il cuore della storia fa perno e ruota intorno all’invenzione della pittura a olio. Antonello avrebbe carpito il suo segreto nella bottega di Jan van Eyck, nelle Fiandre, importandolo poi a Venezia. Da qui direzione Firenze tramite Domenico Veneziano, ucciso da Andrea del Castagno dopo avergli estorto il segreto. In poche parole all’origine della fama moderna di Antonello è posta un’invenzione che per Vasari coincideva con la stessa origine della pittura moderna. In seguito anche l’interpretazione ottocentesca, con la Crocifissione di Antonello, all’epoca conservata a Grand, tocca l’argomento, infatti era considerata la prova del racconto del Vasari, fraintendendo la data e il contenuto dell’iscrizione, letta “1445 Antonellus Messaneus me oleo pinxit”. Insomma una telenovela dell’arte.

Massimo esponente della pittura siciliana del XV secolo, è riuscito a rendere possibile l’impossibile: il difficile equilibrio di fondere la luce con l’anima del soggetto rendendolo tridimensionale senza tralasciare l’attenzione al dettaglio della pittura fiamminga con la monumentalità e la spazialità razionale della scuola italiana. Ritratti vitali, colmi di ossigeno, che strappano lo sguardo e stringono la gola. Un genio della prospettiva e della descrizione, capace di raffigurare su piccole tele e tavole figure maestose, giganti espressivi. Ma a rendere assolutamente imperdibile questo evento, il fatto che della sua arte purtroppo, solo una cinquantina di quadri sono sicuramente autografi, secondo il parere di critici e storici dell’arte si ipotizza appena il 20% della produzione del grande maestro. Ma allora, se tutto ci fosse noto, che livelli raggiungerebbe Antonello da Messina? La sua figura, proprio a causa della scarsità di opere quanto di notizie, viene sottovalutata in passato sino alla fine dell’Ottocento quando lo storico dell’arte statunitense Bernard Berenson percepisce il potere dell’artista e lo colloca nell’Olimpo degli artisti perché, tra l’altro, capace di innalzare l’uomo ad attore eroico e vero protagonista in pieno umanesimo. Nei numerosi ritratti e nelle Madonne, il punto di vista è molto vicino, come in un primo piano fotografico. Il soggetto è in posa frontale e l’impressione della profondità del quadro è ottenuta con trucchi prospettici: per esempio, una mano è dipinta in scorcio, ossia come se fosse perpendicolare al piano del quadro. È una tecnica per quei tempi ancora nuova e difficile, che solo i grandi maestri, come il Mantegna, erano in grado di fare. Un altro aspetto importante di Antonello è il modo in cui viene rappresentata la luce. Nei suoi dipinti è calda e radente e sembra che avvolga le figure, dando loro un aspetto imponente.

L’ambizione del museo di Rovereto è di ricostruire l’ampia scena storica e geografica dalla quale emerge l’eccezionale individualità di Antonello, che lo porta a viaggiare molto, forse perché erede dalla passione dal nonno capitano di vascello, da Napoli alla Spagna, dalla Provenza alle Fiandre, da Urbino a Venezia. Proprio nella Serenissima frequenta Giovanni Bellini e rimane affascinato dalla dolcezza dei volti e dalla morbidezza dei colori delle sue Madonne; riscuote un grande successo e il suo soggiorno viene addirittura pagato dai governanti della città, mentre il duca di Milano lo richiede come ritrattista di corte. Stringe rapporti con i grandi del suo tempo partendo da Colantonio, colui che sappiamo essere stato il vero maestro di Antonello, come evidenzia la celebre lettera del 1524 indirizzata dall’umanista napoletano Pietro Summonte al collega e amico veneziano Marcantonio Michiel. E non solo, oltre al già citato Van Eyck, anche Antonio da Fabriano e il maestro di San Giovanni da Capestrano, identificato con Giovanni di Bartolomeo dall’Aquila. Il percorso espositivo parte dalla formazione di Antonello nella Napoli di Alfonso d’Aragona fino all’esito post-veneziano che indica l’inizio di una nuova civiltà figurativa. Si riesamina, a questo proposito, anche il dibattito relativo al rapporto con la Milano sforzesca, quasi in parallelo con le nuove ricerche di tipo spaziale condotte dal giovane Bramante, come indicano, tra le opere in mostra, il Cristo alla colonna e il disegno Gruppo di donne su una piazza, con alti casamenti entrambe provenienti dal Louvre. Il Mart segue passo per passo il visitatore offendo una proiezione che spiega con semplicità e chiarezza le fasi poi presentate nelle sale. Un particolare che sottolinea il ruolo di museo-scuola che la location trentina ha sempre saputo assolvere con grande professionalità.

Da ricordare, per chi ancora tentenna se visitare o meno la mostra, che questa è la quarta personale dedicata ad Antonello dal dopoguerra: Messina 1953 poi 1981 e Roma 2006. «Nella prima, quella del 1953, – afferma il curatore Ferdinando Bologna – insieme a Raffaello Causa, ero un giovane funzionario delle Soprintendenza napoletana. Tutti e due fummo coinvolti e con noi Federico Zeri, funzionario invece della Soprintendenza di Roma, nella stesura della mostra, che doveva essere curata da Stefano Bottari, autore nel 1939 di una monografia sul pittore messinese. Questo lavoro di preparazione – continua Bologna – comportò un vero e proprio setacciamento del territorio siciliano, con incursioni, anche surreali, in zone non meno arcaiche di come le aveva viste nel 1860, battendole a dorso di un mulo per le analoghe ragioni antonelliane, il padre della storia dell’arte italiana: Giovan Battista Cavalcaselle. Alla fine, però, Bottari, uscì di scena, e la mostra fu firmata da Giorgio Vigni e Giovanni Carandente».

Fino al 12 gennaio, Mart, corso Bettini 43, Rovereto; info: www.mart.trento.it

 

 

 

 

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