Il Romaeuropa che verrà

Il futuro, parola pronunciata solo nei sogni delle pubblicità bancarie, perde il suo dato astratto per trovarne uno concreto nel Romaeuropa festival. È stata presentata la manifestazione che da settembre a ottobre anima la capitale con il suo solito mix di teatro, musica e video, dove il futuro (per quanto prossimo, per quanto poco annunciato), è forse uno dei più grandi meriti dell’evento. L’idea del domani è ciò che viene recuperato contro un modello di vita cieco verso l’avvenire. Il futuro, strilla il programma della rassegna, sarà così, di questo ne siamo certi e lo siamo già da oggi. E ancora, agli artisti (per la maggior parte giovani ed emergenti) viene data l’opportunità di esprimersi in contesti che altrimenti non sarebbero praticabili, perché il loro futuro dipende dagli investimenti presenti e più sono esatti e più, sicuramente, avremo un domani bello.

Ed è Lidia Ravera, assessore alla cultura, che durante la presentazione riprende il concetto: «Credo che il finanziamento pubblico deve tornare ai cittadini sotto altre forme e una di queste deve essere la bellezza, perché non esiste una cultura alta e una cultura bassa ma opere belle o brutte». Ma è il presidente della fondazione Roma Europa, Monique Veaute, ad aprire la giornata: «È grazie alla fiducia e alla solidarietà fra enti pubblici e privati che siamo riusciti anche quest’anno a realizzare il festival. La costruzione di una rete cittadina permette all’evento di non essere una cattedrale nel deserto, ed è in questo senso che va letta la partecipazione del teatro Palladium». Due mesi e undici spazi sono infatti i numeri di questa ventottesima edizione che allarga la sua presenza nella città coinvolgendo per la prima volta il teatro Quarticciolo.

E poi il programma schizofrenico che da sempre caratterizza il festival. Marco Delogu firma di nuovo la locandina che lo rappresenta perfettamente: una ballerina bloccata in un movimento impulsivo ma controllato, violento ma composto, in un bianco e nero che ferma un’esplosione ma con le punte tirate, metafora dell’intera manifestazione. Si parte con la danza di Emanuel Gat e le sue coreografie architettoniche accompagnate, questa volta, dal compositore Glenn Gould che lascia da parte la musica classica per sperimentare voci e suoni. Ancora ballo con Sasha Waltz che invade l’auditorium parco della Conciliazione con 25 interpreti mossi dalle note di Edgar Varèse. La musica, poi, quella del Novecento, per capire da dove veniamo, con le interpretazioni di Stockhausen, l’elettronica dello scomparso Luciano Berio e Luigi Nono, entrambi riuniti nello stesso appuntamento dedicato al suono anni ’70. Musica contemporanea con le contaminazioni dell’africano Baba Sissoko che incontra il suono metropolitano di dj Khalab e poi ancora Bombino e il gruppo indipendente romano i Kutso.

Per il teatro, invece, fra tanti, c’è Jan Fabre con i suoi due spettacoli più noti, This is theatre like it was to be expected and forseen e The power of theatrical madness. Fabre che sarà anche protagonista al Maxxi in una retrospettiva curata da Germano Celant. Si riconferma in calendario anche l’appuntamento con Digitalife, la rassegna di videoarte curata da Daniele Spanò. Il paesaggio cittadino è il tema di questa edizione che attraverso sovrapposizioni di invenzioni cibernetiche e visioni reali tenta un’analisi creativa degli agglomerati urbani. Liquid landscape è infatti il titolo della rassegna ospitata dal Macro Testaccio e dal Maxxi per la sezione architettura con un approfondimento sui temi, con gli artisti nell’Opificio Telecom. Troppi sono gli appuntamenti per poterli elencare tutti, qui il programma completo del festival giorno per giorno.

La presentazione si chiude come si è aperta con le parole della Veaute: «Uno degli effetti della crisi è che non ci sarà il consueto aperitivo». Come a dire: non di solo pane vive l’uomo.

Info: http://romaeuropa.net/festival.html

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